L'ANALISI
14 Luglio 2023 - 05:15
Alessandro Giovanni Gerevini e l'aereo spezzato in due
CREMONA - «Per quanto incredibile possa sembrare, io ero tra i passeggeri dell’aereo che si è schiantato all’aeroporto di Mogadiscio e ne sono miracolosamente uscito illeso, neppure un graffio». È lucidissimo Alessandro Giovanni Gerevini, cremonese, 54 anni, docente in Giappone, a bordo dell’aereo della Hella Airlines, una compagnia somala, che si è schiantato in fase di atterraggio, dividendosi in due: nessun morto fra i passeggeri, ma tanti feriti più o meno gravi. «Sono partito da Garowe per Mogadiscio dove dovevo incontrare un amico che lavora per un’organizzazione umanitaria, ho preso un volo interno – ricostruisce l’antefatto Gerevini —. Era un aereo piccolo e strapieno, ma non ho avuto alcun senso di paura e di insicurezza fino al guasto e poi l’atterraggio di fortuna – è il caso di dirlo – a Mogadiscio, all’aeroporto che è sotto giurisdizione internazionale e ha al suo interno un ospedale».
Nella sua testimonianza a qualche ora di distanza dall’accaduto, rimbalzato su tutti i media per il video che mostra l’impatto dell’areo contro le barriere di contenimento dell’aeroporto, Gerevini non nasconde di sentirsi un miracolato: «Ad un certo punto ho pensato che il pilota volesse fare il fenomeno, poi è scoppiato il panico, quando si è capito che il carrello si era rotto, il velivolo era fuori controllo e il pilota stava cercando di atterrare alla meno peggio. Abbiamo fatto un testacoda prima di urtare le barriere di contenimento, è solo un miracolo che l’aereo non abbia preso fuoco, in compenso si è spezzato a metà – continua —. A ripensarci, non ci credo di essere qui a raccontare. La cosa incredibile è stata che ad un certo punto l’unica mia preoccupazione fosse quella di ritrovare gli occhiali, senza i quali sono perso e poi i documenti nel mio zaino, perché essere in Somalia senza documenti non è raccomandabile. Ecco, questi due pensieri mi hanno impedito di entrare nel panico. A questo aggiungo che essendo legato per bene, non ho subito contraccolpi pesanti, anche se ora mi sento come uno che ha preso un sacco di botte».
E anche nel momento di abbandonare l’aereo, Gerevini ha saputo mantenere la calma: «C’era chi si buttava dall’aereo, molti si sono rotti le gambe, io mi sono diretto insieme ad una mia compagna di viaggio verso lo sportello di emergenza, abbiamo cercato di aprirlo e alla fine mi sono sentito preso per le braccia e portato fuori. La fortuna era che nell’area dell’aeroporto di Mogadiscio c’è un ospedale internazionale, i soccorsi sono arrivati subito, intorno a me c’era chi si era rotto il collo o se andava bene un braccio o era ferito. Io nulla. Sono uscito con le mie gambe. Ma non solo. Quando hanno aperto il portellone per recuperare i bagagli la mia valigia era intatta e chiusa. Mi sto chiedendo perché solo io e pochi altri abbiamo avuto questa fortuna? So che è una domanda senza risposta».
Il trasporto all’ospedale, le ore passate in osservazione hanno scongiurato danni non visibili: «Io a un certo punto ho detto a una dottoressa che me ne andavo per lasciare spazio ad altri più gravi – conclude Gerevini-. Mi è stato, giustamente, impedito dall’operatrice sanitaria che mi ha detto: “Lei se ne va quando dico io e rimane qui in osservazione, non si sa mai”». E mentre parla la sensazione è quella che abbia bisogno di raccontare per oltrepassare lo shock, ma la spiegazione più bella gli è arrivata dalla nipote: «Quando ho chiamato mio fratello a Cremona, mia nipote, serafica, mi ha detto: “Zio, con tutti gli aerei che hai preso, prima o poi doveva capitare”». Ride ed anche questo è un modo per scongiurare il pericolo scampato.
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