L'ANALISI
06 Luglio 2023 - 19:11
Una patente italiana
CREMONA - Ventinove imputati, quasi tutti nati in Albania, due in Marocco. Per lo più residenti da anni nel Bresciano: Botticino, Castrezzato, Gavardo, Leno, Torbole Casaglia, ad esempio. Altri in Romagna: Cesena, Cervia, Gambettola (Forlì-Cesena). Altri ancora nella Bergamasca — Villongo e Costa Volpino — o in Veneto a Verona. Ma è a Cremona che nel 2017, secondo l’accusa, inducendo in errore il pubblico ufficiale della Motorizzazione civile, i ventinove presentarono un falso certificato di residenza storico apparentemente rilasciato dal Comune di residenza o un falso certificato medico apparentemente emesso dal Distretto Socio sanitario di Brescia per ottenere la conversione della patente estera e il rilascio di una patente di guida ufficialmente valida, in realtà «falsa», come poi si scoprirà. Perché per la conversione bisogna risiedere in Italia da meno di un anno. Gli imputati vi risiedevano, al contrario, da molto più tempo.
Il processo in calendario alle alle 10.15 di oggi è stato rinviato al 24 novembre prossimo per l’impedimento fatto pervenire dagli avvocati romagnoli, i quali si sono appellati all’articolo 2 del Decreto alluvione emesso a giugno. «È l’articolo che detta disposizioni urgenti in materia di rinvio delle udienze civili e penali e di sospensione dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali per i residenti nei territori delle province di Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì-Cesena», ha spiegato Santo Maugeri, uno dei difensori degli imputati.
L’indagine della Polizia Stradale sulle «patenti facili» è nata da alcuni controlli di routine. Uno, due, tre automobilisti fermati per caso. Gli investigatori del comandante provinciale, Federica Deledda, intuirono che dietro c’era un giro di patenti false. Inchiesta lunga, complessa. Gli inquirenti risalirono al personaggio «chiave», colui che fabbricava i documenti patacca: Mourad Talbi, la cui posizione è stata stralciata.
Il processo nasce dall’imputazione ordinata dal gip che due anni fa ha rigettato la richiesta della pm titolare del fascicolo di archiviare l’indagine, dopo «una rivalutazione in blocco» effettuata in seguito alla notifica di avviso conclusioni indagini ai 29 ora a processo. Alcuni indagati si fecero interrogare. Si smarcarono da Talbi, sostenendo che avesse fatto tutto da solo, confezionando «le patacche» ad insaputa del cliente di turno il quale, in cambio, lo avrà pagato per poter girare in auto con la patente italiana «falsa». Quanto abbiano dovuto scucire i clienti a Talbi, gli investigatori non riuscirono a scoprirlo, perché gli indagati «non lo riferirono», ha detto chi ha indagato.
Ma la ricostruzione del pm non ha convinto il gip, «poiché non pare credibile che Talbi abbia potuto agire all’insaputa del cliente di turno, che invece, ben consapevole di non poter ottenere la conversione della patente di guida» perché residente in Italia da diversi anni (chi da almeno 4), «si era rivolto proprio al Talbi, fornendogli i dati personali», perché «evidentemente» i clienti sapevano che lui era «in grado di procacciarsi falsi certificati storici di residenza e/o falsi certificati medici necessari per ottenere la conversione della patente di guida senza esame di revisione ovvero senza sottoporsi ai previsti esami medici».
Per il gip, «né rileva in alcun modo che fosse il Talbi a gestire le pratiche provvedendo al deposito dei documenti necessari presso l’autoscuola (di Cremona, ndr), in quanto è ben possibile che, essendovi a monte un patto illecito con il cliente, il Talbi si sia occupato di gestire la pratica quale ‘delegato’ dallo stesso , presentando al posto del consapevole indagato, la falsa documentazione». Nel respingere la richiesta di archiviazione, il gip ricorda gli interrogatori di tre indagati «dai quali emerge chiaramente come gli stessi fossero consapevoli di non poter guidare in Italia perché ivi residenti da tempo».
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