L'ANALISI
STOP AL TRAFFICO DI STUPEFACENTI
27 Giugno 2023 - 05:00
CREMONA - Ieri era la Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di stupefacenti: un’emergenza che non si spegne mai, che rappresenta il business privilegiato delle mafie e che coinvolge inevitabilmente anche Cremona, Crema e la provincia, attraversate dal flusso di droga, da chi lo alimenta e da chi consuma. L’analisi sul fenomeno, articolata dal suo osservatorio privilegiato, è di Alessandra Dolci, soresinese, una carriera spesa proprio nella lotta al crimine organizzato, partendo negli anni Novanta dalla procura della Repubblica di Monza, dove seguiva indagini sulla corruzione.
Da oltre 20 anni — era il 2001 quando arrivò a Milano da sostituto procuratore — è il punto di riferimento della direzione distrettuale Antimafia del capoluogo lombardo. Si è occupata di indagini in tema di criminalità organizzata, in particolare sulle infiltrazioni e collusioni della ‘ndrangheta nella regione e quindi nel Cremonese, dove proprio la mafia calabrese è storicamente radicata. Inoltre, dal 2011 ha seguito il settore delle misure di prevenzione. Nel dicembre 2017 è stata nominata procuratore della Repubblica aggiunto e dal 12 gennaio 2018 coordina la direzione distrettuale Antimafia della metropoli meneghina.
Procuratore, la lotta al traffico di stupefacenti e, per diretta conseguenza, alle dipendenze, passa anche dal contrasto allo spaccio, principale canale di finanziamento delle cosche. Com’è oggi la situazione nel territorio regionale?
«Nell’ultimo anno i sequestri di cocaina in Italia sono aumentati. O siamo stati più bravi e più fortunati, oppure significa che il traffico è in aumento e continua a rappresentante la principale fonte di finanziamento della criminalità organizzata, che poi investe i proventi nell’economia legale. Milano è ovviamente la principale piazza nazionale, con venti aree di spaccio al minuto che vanno a rifornire tutta la zona milanese. Molte di queste si trovano nel sud est dell’area metropolitana, dunque molto vicine anche al territorio Cremasco e a quello Cremonese».
Come vi muovete nella vostra attività di indagine? E quali sono i canali attraverso i quali gli stupefacenti arrivano in Lombardia?
«La nostra attenzione è concentrata innanzitutto sui grandi traffici di sostanze stupefacenti che vedono il coinvolgimento di grandi broker a livello internazionale e sono in mano soprattutto alla ‘ndrangheta. Sono migliaia i chili di cocaina che ogni anno sbarcano a Gioia Tauro. La Dda di Reggio Calabria ha messo in atto grandi controlli e aumentato i sequestri. Altro canale per far entrare in Italia gli stupefacenti è il porto di Genova. Vengono nascosti ovunque, in carichi di merce di svariate tipologie. I controlli sono inevitabilmente a campione ed è impossibile verificare il contenuto di decine di migliaia di container. Per questo sono fondamentali le indagini preventive che ci permettono di andare a colpo sicuro. Quando il carico arriva dal porto è già venduto, ci rimane il minimo indispensabile per essere distribuito, alle varie organizzazioni. Molti stupefacenti poi arrivano via terra».
Quali sono le aree di provenienza delle varie sostanze?
«La cocaina che viene venduta in Italia ha prevalentemente origine sudamericana, mentre le droghe leggere arrivano dall’Africa. Poi c’è l’eroina, che sembrava scomparsa, ma sta tornando. In questo caso la provenienza è asiatica e arriva quasi sempre via terra, attraverso la Turchia e i Balcani. Infine le droghe sintetiche, prodotte prevalentemente nel Nord Europa. La cocaina è diffusa in tutte le fasce di età. I prezzi molto bassi permettono anche ai più giovani di acquistarla. Stesso discorso per le droghe leggere, mentre il consumo di eroina si concentra di più nelle fasce della popolazione adulta. Le sostanze sintetiche sono utilizzate soprattutto dagli under 30».
Come avvengono i contatti tra i broker e le cosche?
«Come modalità di scambio delle informazioni i grandi trafficanti usano telefoni criptati non intercettabili. Ricordo un caso di un paio d’anni fa, quando le autorità belghe e tedesche sequestrano i server sui quali si appoggiavano questi cellulari. C’erano foto e messaggi che sono poi diventati materiale probatorio decisivo».
Oltre a fermare i grandi traffici, l’attività di prevenzione si svolge anche sul territorio: come vi muovete?
«Nell’area dell’hinterland milanese si concentra la maggior parte dello spaccio al minuto, anche in questo caso contatti e ordini si svolgono via telefono. Ne basta uno per centinaia di clienti. In passato uno smartphone di uno spacciatore con un gran numero di contatti è stato venduto tra un’organizzazione e l’altra per 250mila euro».
Dietro chi c’è?
«Un sistema che coinvolge centinaia di persone, per la maggior parte stranieri, soprattutto maghrebini: chi prepara le singole dosi, le sentinelle che rilevano la presenza di polizia, i sovrintendenti che controllano i conti. Il nostro scopo è individuare la fonte di provenienza, ma anche il contrasto sul territorio riveste una fondamentale importanza».
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