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CREMA. LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA

Processo Pasini: "Vicenda scellerata nella sua insensatezza"

Condannato a 18 anni e 8 mesi per l'omicidio di Sabrina Beccalli: "E' stato autore di un'inspiegata uccisione di una persona e poi artefice di un freddo piano di dispersione di ogni traccia del delitto. Egoista e senza pietà"

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

30 Maggio 2023 - 10:43

Processo Pasini, le motivazioni della sentenza: "Vicenda scellerata"

Alessandro Pasini e l'avvocato

CREMA - “Ci si trova al cospetto di una vicenda scellerata nella sua insensatezza”. La vicenda scellerata: l’omicidio di Sabrina Beccalli, la mamma di 39 anni ammazzata intorno alle cinque del mattino di Ferragosto del 2020 dall’amico Alessandro Pasini, 48 anni, il quale, dopo averla uccisa, infilò il cadavere nella Fiat Panda di lei, raggiunse la campagna di Vergonzana, alle nove di sera diede fuoco all’auto.

Pasini “autore della inspiegata uccisione di una persona che pur dice di essergli stata amica e poi artefice di un freddo piano di dispersione di ogni traccia del delitto, secondo un piano che, nella sua prima definizione, prevedeva finanche di far saltare in aria la palazzina ove era avvenuto il fatto”: l’abitazione in via Porto Franco di Susanna, l’ex compagna dell’uomo. Lei all'inizio lo lasciò mentre i due erano in vacanza.

Notevole, ma in senso negativo, è stata poi l’assoluta indifferenza dimostrata” da Pasini, che dopo l’omicidio e ancora nel bel mezzo del piano per far sparire il cadavere, si è rituffato nella cerchia di amici, tra bevute, ‘tiri’ di cocaina, grigliate di Ferragosto e messaggi di natura sessuale nei confronti delle amiche inviati all’amica Liliana. Un uomo, Pasini, dalle “pulsioni egoistiche anche al dispetto dei più elementari sentimenti di pietà”.

E’ il ritratto che dell’operaio fanno i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia nelle 59 pagine di motivazione della sentenza di condanna a 18 anni e 8 mesi (in abbreviato) per l’omicidio di Sabrina e a risarcire il figlio e i fratelli di Sabrina, Gregorio, Simona e Teresa parti civili con l’avvocato Antonino Andronico.

Una sentenza che ha cancellato l’assoluzione arrivata in primo grado “per insufficienza di prove” al termine del processo in abbreviato, allo stato degli atti contenuti nel fascicolo. Prove che, al contrario, le toghe del secondo giudizio hanno trovato “grazie agli approfondimenti istruttori”, portando in aula i carabinieri del Ris che con il Luminol passarono al setaccio l’appartamento e l’auto di Sabrina, sentendo la vicina di casa che alle cinque del mattino sentì “da un condominio vicinissimo due urla inquietanti” di donna, da indurla a chiamare il 112, perché era “un grido proprio straziante, proprio disperato”. Le urla: “ Aiuto! Aiuto! Nooo”.

Soprattutto, sentendo e mettendoli a confronto - come aveva chiesto, inutilmente, nel primo processo l’avvocato Andronico - i consulenti di accusa e difesa che fecero la perizia medico legale su quei pochi resti carbonizzarti della povera Sabrina, recuperati dai Ris nella Fiat Panda. Gli altri resti – il 65 % circa del corpo – vennero smaltiti nell’inceneritore per “grossolano e inescusabile errore” di due veterinari, uno dell’Ats, l’altro privato, che li scambiarono per quelli di un cane.

L’anatomopatologa Cristina Cattaneo (con il suo staff) ha rilevato tre micro fratture alla base della mandibola e un segno circolare, compatibile con l’arma del delitto recuperata nella casa: una roncola con un anello in fondo al manico di legno un anello, sporca del sangue di Sabrina. Secondo l’accusa, Pasini colpì Sabrina con un colpo dal basso verso l’alto.

Tutto il materiale probatorio finito nel fascicolo del processo d’appello “risulta univocamente orientato nel dimostrare che Sabrina Beccalli trovò la morte, in quella casa, a seguito di una aggressione violenta il cui autore non può che essere stato l’imputato stesso, la sola persona che infatti si trovava con la vittima al momento del decesso”, scrive il presidente Giulio De Antoni (giudice consigliere Massimo Vacchiano).

Materiale che ha sconfessato la versione di Pasini, l’amico che Sabrina quella notte cercò per sniffare un po’ di cocaina. Dopo le quattro del mattino si diedero appuntamento in via Porto Franco dove lui si fece di eroina, lei consumò poca cocaina. Difeso dagli avvocati Paolo Sperolini e Stefania Amato, ha spiegato di essersi addormentato. “Ho sentito un rumore, Sabrina era riversa sulla vasca da bagno, morta per overdose”.

Non chiamò il 118 perché preso dal “panico, schiacciato dai ricordi personali - proseguono i giudici - e anche dal timore che la compagna potesse scoprire l’accaduto”.

Ma il “panico” e “lo sconvolgimento” fanno a pugni con “il pressoché immediato attivarsi dell’imputato in un lucido piano di cancellazione delle tracce e di depistaggio”.

Alle 6.10, con il cadavere ancora caldo e in auto, Pasini si procurò la benzina con la quale la sera diede fuoco alla macchina. Cancellò sull’Iphone tutti i messaggi scambiati con Sabrina, si disfò degli abiti e delle scarpe dell’amica, scarpe gettate (e ripescate) in un canale “in modo che si potesse pensare ad un suicidio”.

Gettò il telefono di Sabrina sulla pista ciclabile la mattina stessa del 15 agosto. Quel giovedì fece su e già dall’appartamento di vai Porto Franco per ripulirlo, per cancellare le tracce, fece il pranzo di Ferragosto con gli amici al bar, andò a comperarsi altra droga. Un uomo, Pasini, “egoista e senza pietà”.

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