L'ANALISI
08 Gennaio 2023 - 10:37
CREMONA - È questo ciò che rende l'attaccante un vero essere speciale: conquistare la libertà e metterla al servizio degli altri. Ci piacerebbe che fosse questa la definizione esatta che illustra il significato del termine ‘leader’. Perché Vialli è senz'altro l'uomo che meglio di tutti ha saputo diventarlo, riuscendovi principalmente per la sua intelligenza in ogni dove. Lo scrive il giornalista Paolo Rossi sulla copertina del suo libro «Il carisma della rovesciata», pubblicato nel 2004. Di quella libertà Vialli era un simbolo naturale, lo è stato sempre per tante stagioni. Lo è stato da subito anche in quegli anni lontani in cui la Cremonese, sua e di Mondonico, usciva da un letargo infinito. Sembrava sempre primavera e avere 17, 18 anni in quei momenti è stato bellissimo. Gli volevano bene tutti e lui lo sapeva. L’anno della salvezza con Mondonico, gli spareggi a Roma con Frutti dopo quel passaggio che a Varese non gli venne; infine la promozione in serie A su cui mise la sua firma, pronto a partire destinazione Juventus.
A Cremona lo sapevano tutti che sarebbe diventato un campionissimo, tutti tranne Zoff che Boniperti mandava in avanscoperta ogni domenica a vedere se poteva farlo giocare con Platini. Vialli era sempre formidabile, l’ex portiere della nazionale disse che non gli sembrava poi così forte, la Samp ringraziò. Ma ancora più che il campione, a colpire era il senso di felicità che riusciva a trasmettere: adesso siamo qui noi. È stato ciò che molti suoi coetanei avrebbero voluto essere. Il più bravo, il più forte, il più bello, il più tutto senza suscitare invidia, casomai ammirazione sia che si trovasse in campo o alla fiera di S. Pietro. A 15 anni era già Vialli e quando arrivò per una partita di campionato giovanissimi, i dirigenti dell’altra squadra strabuzzarono gli occhi. «Ma come, c’è Vialli?».
A parte StradiVialli, Brera lo definiva un Barbaresco. Lo riportano alcuni siti, proprio in questi giorni. «Nacque come un gioco, dalla richiesta di un lettore di abbinare vini a calciatori. Brera, giornalista sportivo e altissimo conoscitore della materia, scrisse: All'amato Barbaresco abbino Maldini e Vialli. Il Barbaresco è principe, non re (come sostengono i conformisti), però ha il pregio ai miei occhi e al mio palato di avere spume più lievi, persino un po' frivole, in tanta austerità di corpo».
A volte non gli hanno perdonato il suo stile, la buona famiglia, il fatto che il pallone non poteva e non doveva essere l’unica cosa. Persino Gianni Mura lo stuzzicava: «A Genova sta bene, il rischio è che ci stia troppo bene e sia infiltrato dalla macaia. Intendiamoci, giocatori come Vialli non abbondano, in Italia né altrove, e la tendenza è quella di chiedergli sempre di più. Atleticamente, tecnicamente, tatticamente c’è poco da insegnargli o da chiedergli, e allora? Solo un po’ di concentrazione, di sofferenza più o meno tra virgolette, di rabbia che non viene dai nervi. Non è facile far finta di essere poveri, ma è proprio quello che ogni tanto Gianluca Vialli potrebbe anche tentare». Vialli se ne fregava.
In Nazionale il giorno di gloria fu il 14 novembre 1987, a Napoli. L’Italia di Vicini sconfisse la Svezia per 2-1 con una sua doppietta che portò gli azzurri agli Europei. Segnò due gol alla Vialli: entrambi di potenza, entrambi sotto la traversa, entrambi dalla parte esterna dell’area, uno di destro e uno di sinistro. Due gol che fecero tornare alla mente Gigi Riva. Gianni Brera si allarmò a tal punto da farsi dare spazio su Repubblica per un articolo dal titolo: «Non disturbate Rombo di tuono: si è creduto di scoprire, dopo Italia-Svezia di Napoli, che Vialli è il nuovo Gigirriva. Ma prendere Vialli per il nuovo Riva significa mancargli di rispetto e insieme fargli un po’ troppo credito».
Nel 2003, Vialli trascorse una mattinata intera in redazione al giornale La Provincia. Telefono aperto per tutti, tifosi, sportivi, amici. Tre ore intense, ricche di aneddoti, ricordi, riflessioni. Fino all’ultima telefonata: «Luca? Sunti Domenico». Domenico era Luzzara che aveva visto crescere e poi ceduto (per soldoni e Chiorri) il suo gioiello.
Infine, il Vialli altruista. Ha fondato la Fondazione che si occupa di Sla insieme a Massimo Mauro, ha partecipato a tante iniziative benefiche in Italia e anche a Cremona. Come quella volta che insieme a Mancini fece da testimonial ad una giovanissima associazione Giorgio Conti, di cui sempre ha portato un ricordo molto caro.
Ai tempi della Samp, in una intervista tv, disse: «Non vado al Milan e neanche alla Juve, sto bene qui. È una dichiarazione d’amore per la mia Samp? Può darsi, ma a volte le storie d’amore finiscono». Ma stavolta non sarà così.
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