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CIAO LUCA

Un dolore abissale, Gianluca è stato un privilegio averti avuto con noi

Ha affrontato la sorte che lo stava aspettando sempre con il sorriso. Gli ultimi mesi di vita un simbolo di coraggio vero e umanità al suo meglio

08 Gennaio 2023 - 05:20

Un dolore abissale, Gianluca è stato un privilegio averti avuto con noi

di Giovanni Ratti

CREMONA - Gli eroi son tutti giovani e belli. Così pensavo che un giorno avrei iniziato l’articolo che ormai mi ero rassegnato a dover scrivere prima o poi. Ma scusa Gianluca, in questo momento non riesco a pensare a te come al campione, all’eroe dei campi verdi che sei stato e che ti ha reso caro a tutti. Ti penso come si pensa il fratello che la compagna di scuola ha perso. Il papà e il marito al quale il destino, rinnegando la passata generosità, ha rifiutato di esaudire i desideri più umani. Ti penso come il figlio che hanno perso i signori che spesso incrocio sul corso.


Avevo visto in passato, ancora più da vicino, che cosa vuol dire perdere un figlio. Un dolore che spezza. Prego che non spezzi chi ha perso un figlio come te. Pensando a loro, a chi hai dovuto lasciare, trovare le parole è difficile anche per chi le cerca per mestiere. Piangerti adesso è il prezzo dovuto per il privilegio di averti avuto, di averti amato. Di essere chi ti avrebbe amato anche se tu avessi avuto i piedi storti, o se il tuo talento fosse sfuggito a un allenatore meno attento di Franco Cistriani.
È a loro che appartengono lo schiacciante fardello e l’impagabile privilegio di piangere il figlio, fratello, marito, papà che sei stato. Noi siamo cornice, e spero che avremo la discrezione (dote rarefatta alquanto di questi tempi) per restare tale. Di non sovrapporre il nostro cordoglio pur sincero al dolore abissale di chi ha condiviso con te questi anni ingrati, questi giorni irrimediabili.


E scusa ancora Gianluca, ma anche se penso solo a te, e non alla tua famiglia, ancora non riesco a pensarti come il campione che sei stato. Penso all’uomo che non aveva nessuna voglia di entrare nella leggenda, non così presto. Tu volevi vivere, scommetto che avresti dato ragione con un sorriso a Woody Allen quando dice che scambierebbe di corsa tutta la fama postuma con un quarto d’ora di vita in più. Ma non è così che funzionano le cose. Eppure quando hai capito quale sorte ti aspettava, le sei andato incontro sorridendo. Dove tu abbia trovato il coraggio non lo so, quel tuo sorriso è un esempio che ben difficilmente saprò seguire quando sarà il mio turno. Sapevi, e sorridevi. Non ridevi in faccia alla morte come fanno gli eroi dei film, sorridevi. È tutta un’altra cosa. È coraggio vero, è umanità al suo meglio.


E allora scusa Gianluca se, davanti a tutto questo, ciò che ho amato di te come calciatore non è in primo piano. Anche se poi si vive anche di queste piccole grandi cose, e allora conservo con gelosia il ricordo del pomeriggio in cui Vincenzi ti mandò in campo al posto di Bresolin al Tardini, sono contento di essermi diviso fra ammirazione e dispiacere quando hai segnato a Rampulla con quella rovesciata, sono ancora oggi rammaricato di non averti potuto fare scudo contro i fischi ingrati e fanatici che dal tuo Zini ti sono piovuti addosso un triste giorno, sono felice che proprio tu abbia alzato in cielo quella che probabilmente resterà l’unica coppa dei campioni della mia vita. E sono felice di averti visto un’ultima volta in tribuna, fasciato della maglia grigiorossa. Era il tuo modo di dire addio, io non lo sapevo o non volevo saperlo, tu sì.


Ma c’è un’altra cosa che non potrò dimenticare. Perché la memoria certe cose non le molla finché campi. Ricordo dove ero e che cosa stavo facendo quando ho saputo di John Lennon, di Scirea, di Falcone, delle torri gemelle. Di certo non dimenticherò mai dov’ero e che cosa stavo facendo venerdì alle dieci e trequarti, quando su Radio3 il giornale radio è iniziato con queste parole: ‘Apriamo il notiziario con una notizia appena giunta da Londra’. Avevo già capito tutto. Non avevo potuto fare a meno di capire.


E per l’ultima volta scusa, ma fra i tuoi filmati quello che cerco più spesso non è quello di una delle tue prodezze, di una delle tue vittorie. È quello dell’intervista in dialetto, in cui cercando di ricacciare indietro la ridarella confessi di sognare di vincere ‘el scudèt’ con la Sampdoria e di imparare a ‘parlà inglées’. Hai realizzato questi e altri sogni, ma se ti sentivi un suo prediletto il destino poi ti ha disilluso nel modo più crudele. E a noi non resta che scrivere articoli che non avremmo voluto scrivere, e che non si sa come concludere se non con un dolente addio.

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