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IL PROCESSO

Indagine ‘Doppio Click’: «Tra la merce stoccata nel magazzino anche i panettoni scaduti»

In aula il ragioniere assunto da Marco Melega: «Mi ordinava di fare fatture per operazioni fittizie»

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

20 Ottobre 2022 - 20:26

Caso Melega: «Tra la merce stoccata nel magazzino anche i panettoni scaduti»

La Guardia di Finanza ha condotto l’indagine ‘Doppio Click’

CREMONA - «Melega mi chiedeva di predisporre le fatture per operazioni secondo me fittizie. Fittizie, perché sulle fatture mettevo un generico ‘merce stock’. Fatture per 100 mila, 500 mila, 1 milione di euro. Ma nel capannone non c’era merce di questo importo. La cosa divertente? C’erano panettoni andati a male, ma anche copri sedili per auto, televisori e arredi per il bagno. Mi riferisco al tipo di volume Sì, certo, con Melega ne parlavo. Una volta gli dissi: ‘Che sono queste fatture?’ Lui mi diceva: ‘Fallo e basta’. Io ero consapevole di fare cose non corrette. Continuavo a fare le fatture. Io ricevevo gli ordini sempre da Melega. Li eseguivo non per paura, ma perché volevo conservare il posto di lavoro. Quando il 16 luglio del 2019 Melega fu arrestato, temevo di essere coinvolto in questa vicenda».

Diplomato ragioniere, Giovanni Rendina, casa a San Martino del Lago (frazione di Desenzano, Brescia) si accomoda davanti al giudici, oggi. È molto teso il teste del pm, Vitina Pinto, alla terza udienza del processo sull’indagine ‘Doppio Click’ della Guardia di Finanza con imputato Marco Melega, l’imprenditore 50 enne tre anni fa finito in carcere con il suo braccio destro Cristiano Visigalli (che ha patteggiato) e un commercialista milanese.

L’accusa è di aver truffato centinaia di clienti in tutta Italia con le vendite on line rilanciate da siti e-commerce (sottocosto.online, advstocks.it, marashopping.it e offerteazero.itd) attraverso campagne pubblicitarie rilanciate da radio e tv di primo piano come Canale5 La7, Italia Uno, Radio24 (mai pagate per i servizi, ndr).

Gente che si fidò, acquistò prodotti tecnologici, buoni carburante e vini pregiati da 1.000 euro in su, ma la merce non fu mai consegnata. Gente che scambiò mail con Marco Ferrari di sottocosto.online o Mauro Galli, Giulia Romano e Maria Russo di marashopping.it. Non esistevano. I Galli, Romano e Russo erano Melega.

Secondo le Fiamme Gialle, i soldi indebitamente incassati sarebbero stati trasferiti verso società «riconducibili a Melega», accusato anche di riciclaggio, frode fiscale e bancarotta fraudolenta.

Melega, l’istrionico imprenditore con un brillante passato da discografico che avrebbe messo in piedi un castello di società «cartiere» intestate a prestanomi. Società in cui figuravano dipendenti come la sua ex compagna Alina, assunta alla Consulting, «ma io negli uffici non l’ho mai vista, non ci ha mai lavorato», fa mettere a verbale Rendina.

Secondo chi ha indagato, i soldi facevano ancora qualche giro prima di convergere, sotto forma di stipendi da decine, anche centinaia di migliaia di euro al mese, nelle tasche di Melega e coimputati .

Il ragioniere Rendina assunto alla Consulting, durante l’indagine fu convocato tre volte nella caserma delle Fiamme Gialle. «Lo abbiamo invitato più volte a fornire documentazione, era carta straccia», ha detto (alla prima udienza) il maresciallo capo Luigi Bencivenga. In aula, Rendina spiega di essersi occupato «degli aspetti amministrativi. Ero il consulente amministrativo. Tenevo le scritture contabili della Consulting e delle varie società riconducibili a Melega. Sì, riconducibili a lui, perché era lui che dava gli ordini. Visigalli amministrava la Domac, ma c’era anche Melega. Se ne occupavano insieme. Io ricevevo gli ordini sempre da Melega. Sì, io ho creato mail per Melega».

Racconta che i primo uffici della Consulting erano a San Zeno sul Naviglio con annesso capannone. Quello con 20-30 bancali con i panettoni scaduti, i televisori, i copri sedili, gli arredi bagno. «Un capannone diroccato, non c’era niente», aveva detto il maresciallo Bencivenga.

«C’era la merce che ho detto», ha risposto Rendina all’avvocato Luca Angeleri, legale di Melega. Un altro magazzino era a Bussolengo (Verona). Qui, a fine dicembre 2017 ci fui uno «strano» furto. Sparirono il rame delle grondaie, i soldi delle macchinette del caffè e della documentazione contabile riferibile al gruppo Agoros, la prima azienda pubblicitaria fondata da Melega nel 1998».

La denuncia di furto, su ordine di Melega, la fece il ragioniere Rendina: «Parlai con Melega, ma non ero convinto di quel furto. La documentazione effettivamente non c’era, ma secondo me non c’è mai stata. La cosa mi è sembrata strana».

Il curatore fallimentare. «Gabriella Albricci me la ricordo bene. Fin da subito ho capito che era lontanissima dal mondo delle società, non aveva la minima cognizione dell’incarico che ricopriva».

Teste del pm Vitina Pinto, Michele Manfredini è il curatore fallimentare che non ha mai visto Marco Melega, ma Cristiano Visigalli, il braccio destro dell’imprenditore, sì. Lo ha visto quando nel suo studio, Manfredini convocò Gabriella Albricci, ufficialmente amministratrice di due società della «galassia Melega», in realtà ex suocera di Visigalli, pensionata che in passato si era occupata di una lavanderia a Vicomoscano. Insomma, una «prestanome», la settantenne tre anni fa messa ai domiciliari nell’indagine ‘Doppio Click’. Tutto ha inizio dalla Promoway. La società nasce nel 2008 con Visigalli nominato amministratore unico. «Successivamente Visigalli si dimette», spiega il curatore fallimentare. Viene sostituito da sua madre Marisa, «che poi si dimette e viene sostituita da Gennaro De Padova, che poi si dimette e a gestire la società, l’11 agosto del 2016, è Gabriella Albricci».

LA TESTIMONIANZA

«Me la ricordo bene Gabriella Albricci — sottolinea il curatore fallimentare —. Si presentò nel mio studio con Visigalli, primo amministratore di Promoway poi diventata Advee srl. Visigalli mi disse di aver accompagnato la Albricci, perché non stava bene. Già lì mi è venuto un sospetto, perché la Albricci stava bene. Poi, Visigalli si è dichiarato come suo dipendente». Il curatore fallimentare scopre anche che l’Albricci è collegata alla Consulting.

Nella sua relazione, Manfredini scrisse: «Chiaro come la pensionata nullatenente risulti essere una testa di legno di altri soggetti. Ciò è avvalorato dal comportamento del Visigalli, vero depositario di tutta la memoria storica della società e regista di tutta la contrattualistica in essere. Visigalli si premura di accompagnare la pensionata per motivi di salute, in realtà cerca di fornire spiegazioni più appropriate sostituendosi a quella, probabilmente per non mostrare la totale inadeguatezza a coprire ruoli manageriali di qualsiasi livello e natura».

Manfredini racconta di aver ricevuto, quale curatore fallimentare, «parecchie mail di clienti truffati». Qualcuno lo ha chiamato il curatore fallimentare per capire come i clienti erano stati truffati con le vendite on line. «Si faceva l’ordine della merce su Internet e iniziava tutta una serie di rapporti attraverso mail con quattro persone che non erano ‘umani’». I clienti chiedevano di parlare con Mauro Galli, ad esempio. Ma Galli era un nome inventato. Galli era Melega, in realtà. I «quattro nomn umani» nelle mail tiravano fuori delle scuse: «Stiamo riassortendo la merce. Venivano dilatati i tempi, il cliente capiva che il prodotto non sarebbe mai stato consegnato. Mi stupivo quando vedevo una restituzione». Una rispetto «alla marea».

Il caso Melega tornerà in aula il 3 novembre prossimo.

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