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LA STORIA

Solidarietà: «La mia treccia in dono a chi lotta con il cancro»

Letizia Bellini e la sua scelta per gli altri: i capelli offerti in beneficenza: «Così voglio aiutare le donne che non possono acquistare la parrucca»

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

07 Settembre 2022 - 05:05

Solidarietà: «La mia treccia in dono a chi lotta con il cancro»

CREMONA - La sua treccia donata alle donne malate di tumore che non possono permettersi la parrucca, un taglio da «maschietto», lo stupore delle amiche e la confessione: «Ho donato la mia lunga treccia in beneficenza».
È la storia di Letizia Bellini, quarantenne dal volto sorridente, una donna che sa il fatto suo e che al pensiero fa seguire con entusiasmo l’azione.

L'ESPERIENZA

«Tutto è nato dall’aver avuto modo di conoscere da vicino le problematiche che vivono le donne malate di tumore e che a causa della chemioterapia perdono i capelli — afferma —. Dalla ricerca della parrucca giusta, ai costi proibitivi per l’acquisto, soprattutto laddove non ci sono sostegni pubblici come invece accade in Lombardia, è partita la decisione di mettermi in gioco, di cercare le associazioni che accettano il dono di capelli per la realizzazione di parrucche con crine vero, che in alcuni casi rivendono per comprare altre parrucche da donare alle donne che ne hanno bisogno».

L'ASSOCIAZIONE

Dopo aver individuato l’associazione che Bellini reputava adatta alla sua azione di solidarietà — «Un angelo per capello» di Bari —, il percorso per realizzare la donazione è stato lungo, dettato — sembra quasi superfluo dirlo — dai ritmi con cui crescono i capelli. «I capelli crescono circa un centimetro al mese e la richiesta è quella di donare trecce che non siano inferiori, come lunghezza, ai 25 centimetri. Basta fare un conto e capire come il percorso sia stato lungo. Ho deciso di donare i miei capelli nel 2017 e sono arrivata all’obiettivo nel 2022».

IL PERCORSO

Donare una treccia è dunque più complesso di quanto possa sembrare, ma soprattutto richiede forte determinazione. Bellini racconta: «Per noi donne, capelli e acconciature dicono tanto della nostra identità, del modo in cui ci presentiamo agli altri. Non sono tante le donne che decidono di rendere evidente la ferita della malattia, mostrando i loro capelli insolitamente corti, se non del tutto azzerati. Non è facile. Da qui la parrucca confezionata secondo le abitudini e i gusti di chi ne fa richiesta: è un modo non per nascondere, ma per proteggere l’immagine e l’identità della donna che non vuole cedere alla malattia, che non la vuole come unico orizzonte».

LA CURA

«Tutto questo mi ha spinto a prendermi cura dei miei capelli, vale a dire non usare alcuna tintura, ogni tanto tagliarli un poco perché si rafforzassero e la chioma fosse la più sana possibile e per questo adatta ad essere trattata per fare parrucche» entra nel merito del cammino intrapreso, Letizia Bellini.

LA SCELTA

Nel racconto di Letizia c’è una determinazione forte e la consapevolezza di aver provato su di lei quello che altre donne provano a causa della malattia. E dunque non per una scelta libera e consapevole: «Ovviamente quello che sto dicendo non regge il paragone con il dolore e l’angoscia della malattia — tiene a specificare —. Paradossalmente, per quanto la decisione di farmi crescere i capelli rispondesse ad un obiettivo chiaro fin dall’inizio, nel momento in cui si è trattato di dare un taglio netto alla mia treccia non è stato facile anche se non sono una persona che ama particolarmente i capelli lunghi».

L'APPELLO

Soffermandosi sull’emozione e il senso di privazione provati nel momento in cui davanti al grande specchio della parrucchiera ha reciso la treccia, il pensiero va a tutte quelle donne che vedono cadere a ciocche i capelli in seguito alle cure: «Credo che donare capelli per una giusta causa sia un po’ come donare il sangue all’Avis — conclude —. C’è bisogno di seguire regole precise, di prendersi cura di sé per un obiettivo di soccorso a chi ha bisogno. La decisione di raccontare questa mia esperienza vuole essere di stimolo a chi può donare perché lo faccia. È un gesto che ti mette in discussione e che permette a donne che soffrono di ritrovare loro stesse, anche semplicemente indossando una parrucca ben fatta e che assomiglia a quello che sono state e che saranno ancora, superato il percorso delle cure. E dunque nessuna nostalgia per la mia chioma, ovviamente». E sorride ancora. Con il suo taglio corto corto, da maschietto.

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