L'ANALISI
03 Agosto 2022 - 05:00
CREMONA - Addio a Mario Penci, decano dei sindacalisti cremonesi, una carriera autorevole nelle fila della Uil di cui per oltre mezzo secolo è stato il segretario provinciale della Federazione poteri locali (Fpl) che riunisce gli iscritti Uil dell’amministrazione pubblica (enti locali, sanità, Rsa, carcere). Aveva 87 anni. «Un pezzo di storia della Uil che se ne va, lui che il sindacato lo aveva fondato a Cremona negli anni Sessanta e che conosceva la materia meglio di chiunque altro», racconta Mino Grossi, segretario generale della Uil dal 1990 al 2016, anche lui, come Penci, una vita spesa nella storica sede di Viale Trento e Trieste.
Tenacia, volontà, accuratezza e correttezza nei rapporti, spirito di sacrificio, affidabilità le doti con cui Mario Penci, socialista sempre e comunque, fautore della cosiddetta tradizione riformista, ha attraversato oltre cinquant’anni di vicende politiche e sindacali con garbo, signorilità e fermezza. «Non lasciava mai il tavolo — ricorda Grossi — prima di aver trovato una soluzione che passasse per il confronto, il dialogo, la moderazione. Non era per le soluzioni estreme». Agli inizia degli anni 2000 era stato eletto presidente (senza compenso) del comitato provinciale dell’Inps che aveva ricoperto per due mandati. Un riconoscimento voluto da tutte le componenti economiche e dagli enti di città e provincia.
«Un incarico di prestigio che ricoprì con la consueta consapevolezza del ruolo — ricorda Enrica Ferraroni, in quegli anni direttrice dell’Istituto di previdenza —. Dirigere l’organo che si occupa di valutare i ricorsi in materia previdenziale era un incarico che gli calzava a pennello, tanta era la capacità, attenzione, umanità di cui era capace». Vestiva sempre con grande eleganza, uno stile personalissimo che proiettava anche sulle automobili, tutte dello stesso colore, il blu, e veloci. «Non gli interessavano la poltrona tantomeno i soldi — ricorda Donata Bertoletti a lungo segretario generale Funzione pubblica Cgil e dei confederati — ho lavorato con Penci per sedici anni e la prima cosa che mi viene in mente di lui è l’eleganza innata, evidente senza ostentazione, agli occhi di noi più giovani rappresentava l’autonomia e la libertà nello svolgere un ruolo insieme alla garanzia di rispetto. Era facile essere in disaccordo, lui era l’elemento di garanzia dell’unità sindacale di cui era fermamente convinto».
Un legame fortissimo con la Uil, il suo sindacato, sempre interpretato con grande generosità e dal quale aveva faticato a separarsi. «Fra il personale della funzione pubblica ci sono molte potenzialità e molto entusiasmo che non sempre vengono compresi e valorizzati dai dirigenti — — aveva affermato in una intervista alla Provincia —. È necessario avviare una riflessione sui contenuti, partendo dal rispetto dei diritti e della dignità dei lavoratori anche attraverso la valorizzazione della professionalità ad ogni livello. Ho la ragionevole ambizione di immaginare un modello di società su cui invitare a riflettere sia la Cisl che la Cgil. L’unità sindacale, anche se a qualcuno può sembrare mera utopia, è utile».
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