L'ANALISI
20 Luglio 2022 - 05:00
Foto di Casalmaggiore (Andrea Bellini)
CREMONA - «Fondale monte Cremona: np, fondale fronte Cremona: np, fondale valle Cremona: np» e l’elenco degli np, «non pervenuto», potrebbe continuare per tutte le località rivierasche. Il che vuol dire che con il Po, che ancora ieri segnava meno 8 e 56 sotto lo zero idrometrico, neppure i meatori dell’Aipo — gli addetti al controllo della profondità — rischiano di uscire con le loro belle e potenti barche gialle. Rispetto a lunedì, quando è stato battuto un altro record a meno 8 e 58, il fiume ha ripreso qualche centimetro e per tutta la giornata di ieri è stata un’altalena di evaporazione dell’acqua, con la freccetta dell’idrometro prima in giù, poi in su, e poi ancora in giù, e alla fine si è fermata a -8,51.
La situazione è sempre gravissima, e non solo per il Po, ma per tutto il bacino e il sistema idrologico. Basta affacciarsi dal ponte di Pontevico-Robecco o dal ciclopedonale di Monasterolo per notare che l’Oglio è poco più di un rigagnolo, costellato da tronchi e detriti, con le barche ormeggiate. Solo qualche canoa rischia la navigazione. Stessa situazione per l’Adda, che alla foce si deve fare largo tra un enorme banco di sabbia. Alla Becca, alla confluenza con il Ticino si arriva a meno 3 metri e 80 centimetri, a Casalmaggiore meno 5 e 35. E, meraviglia delle meraviglie, a Piacenza il Po ferma l’idrometro a soli -9 centimetri, vuol dire dunque che la diga di Isola Serafini funziona, trattiene l’acqua, dando così ragione a chi invoca la bacinizzazione del fiume. E, del resto, il comandante della motonave Mattei, Federico Molinaro, qualche giorno fa parlava di fondali compresi tra i quattro e 10 metri.
Ma queste sono eterne discussioni che tra Canale navigabile, navigazione interna, bacinizzazione o regimentazione, hanno assorbito decenni di aspre diatribe. Sta di fatto che il fiume non è mai stato visto in queste condizioni da almeno 70 anni, vale a dire dal 1952, in un biennio in cui il Po aveva dato il meglio di sé: l’anno prima la grande piena del 1951, l’anno dopo la grande secca. Situazioni che solo il Po riesce a creare.
Situazioni spesso paradossali, a esempio come non sorridere guardando i lavori di rinforzo che si stanno facendo sotto il ponte dell’autostrada: i piloni vengono fasciati con enormi sbarre di acciaio, spesse e alte, che dovranno affrontare la prossima piena, che prima poi arriverà (a questo punto si spera, visto che l’ultima di una certa consistenza è stata nel 2014). Le canottieri, invece, stanno provvedendo, a risolvere quei piccoli problemi che però mettono a rischio la stessa ragione di essere delle società: il canottaggio. Le zattere di attracco sono tutte adagiate sui sassi del fondo (l’unica che sta un po’ meglio è quella del Dlf) e i canottieri dunque non riescono a prendere il largo, se non con un certo rischio.
Le passerelle sono quasi in verticale, soprattutto quelle della Flora, che adagiano su pochi centimetri di cemento della base, tanto che si è provveduto a spostare alcune barche, le venete, verso l’esterno del fiume. I cefali, enormi, sguazzano nei pochi centimetri d’acqua rimasti e qualcuno tenta anche di catturarli con le mani. Anche la Bissolati ha sistemato nuove pedane di attracco, soprattutto per gli atleti, mentre alla Baldesio sono sempre più sui sassi non poche zattere. Verso valle, superato il Ponticello, diventato un deposito di tronchi, tra la Capannina e il Mento prima ancora di scorgere il fiume, si vedono le enormi spiagge arse dal sole, sempre di più costellate di ombrelloni di bagnanti che sguazzano nell’acqua bassa, disturbando nugoli di gabbiani.
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