L'ANALISI
05 Aprile 2022 - 17:52
CREMA - La Corte d’Appello di Brescia lo ha assolto da un capo di imputazione, il numero 15. Per gli altri 14, la prima sezione penale (presidente Claudio Mazza) ha confermata la condanna a 7 anni di reclusione, uno sconticino di 1 mese rispetto alla pena di 7 anni e 1 mese inflitta nel primo processo a Cremona.
A Brescia incassa oggi una seconda batosta Angelo Branchi, l’avvocato accusato di estorsione, tentata e consumata, in concorso con Antonio Silvani, suo (ex) importante cliente di Chieve, dal 1984 al 2004 titolare della ‘Silvani Antonio srl’, imprenditore venuto dal nulla che fece una fortuna con porte e serramenti, lui già condannato, in Appello a 4 anni e 10 mesi (in primo grado prese 5 anni e 3 mesi). Secondo l’accusa, Branchi sarebbe stato il ‘regista di un collaudato sistema estorsivo’ che consentì a Silvani di farsi pagare, due volte, dai clienti trascinati in tribunale davanti al giudice civile con l’arma dei decreti ingiuntivi, ottenendo in alcuni casi i pignoramenti.
Brutta storia quella scoperchiata dall’indagine ‘Sirge’ della Tenenza di finanza l’11 settembre del 2014 in seguito all’esposto di un cliente del re dei serramenti. Per gli investigatori, funzionava così: dieci anni dopo la cessazione dell’attività artigianale, Silvani cominciò a sollecitare ai vecchi clienti il pagamento di fatture, in alcuni casi mai emesse, arrivando persino a gonfiarne gli importi. Contava sul fatto che, a distanza di dieci anni - periodo oltre il quale le banche non conservano più la documentazione delle operazioni - i clienti non fossero in grado di dimostrare di aver già pagato i serramenti. A maggiore ragione, quelli che avevano pagato in contanti. E nei confronti di chi si rifiutava di pagare, l’artigiano scomodò la giustizia civile con la richiesta di emettere decreti ingiuntivi, grazie ai quali in qualche caso riuscì a pignorare beni alle sue vittime. Ma Silvani era un artigiano, faceva porte e serramenti. Chi sapeva destreggiarsi tra le pieghe del codice civile anche per la Corte d’Appello sarebbe stato il suo avvocato Branchi, già condannato nel primo processo a risarcire i danni alle parti civili.
C’è la storia di Lucia colta da malore quando in casa le piombarono l’ufficiale giudiziario e l’imprenditore Silvani con segretaria al seguito, dal quale, nel 2001, comprò porte per 25 milioni di lire. Quel giorno, le pignorarono quadri per 20 milioni.
Nel 2004, da Silvani Lorenza si fece fare porte per 7.400 euro. Lei finì al Pronto soccorso la mattina in cui le pignorarono il conto corrente: «Avevo appena messo su i soldi per pagare le tasse e pam! I soldi me li hanno sbloccati dopo un anno e ho dovuto pagare anche la mora per le tasse».
Franco e Giulia, marito e moglie, nel 1998 da Silvani si fecero fare gli infissi della nuova casa per 50 milioni di lire «regolarmente fatturati e regolarmente pagati». Per dieci, dodici anni hanno dormito «sonni tranquilli», poi «è arrivata la tegola»: un decreto ingiuntivo di pagamento «per 23mila euro che non ci ha fatto dormire per diverse notti».
C’è chi aveva conservato le pezze «e nonostante questo, la causa è stata fatta». Nonostante più di un cliente avesse telefonato nello studio legale di Branchi, ma l’avvocato con i clienti di Silvani non ci parlava, rimpallandoli alle impiegate. C’è chi la causa l’ha persa in primo grado per poi vincerla in appello. C’è chi l’ha vinta subito e chi l’ha stroncata sul nascere.
Il sostituto Procuratore generale, Rita Caccamo, aveva chiesto per Branchi la conferma della sentenza di primo grado. La Corte d’Appello si è presa 60 giorni per depositare la motivazione della sentenza emessa oggi.
«Ci riserviamo la lettura dei motivi per proporre il doveroso ricorso per Cassazione», hanno commentato gli avvocati Marcello Lattari e Roberto Guareschi, difensori del collega Branchi.
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