L'ANALISI
24 Marzo 2022 - 18:28
Olga, Arsèn, Arthur e Oksana
SONCINO - Prima che Putin iniziasse la sua folle guerra erano 19 gli ucraini residenti a Soncino. Oggi sono già oltre 30. Fra quelli a cui la comunità, le istituzioni e le associazioni hanno aperto le porte di casa ci sono anche Oksana, infermiera 34enne, coi figli Arsèn di tredici anni e Arthur, di sei.
Andrij, che Oksana ha conosciuto proprio lavorando in ospedale 17 anni fa innamorandosene perdutamente, è rimasto al fronte. È un medico, sarebbe voluto stare accanto alla sua famiglia ma ha delle vite da salvare. Al pensiero le lacrime solcano il volto della moglie e di chi la ospita, sua suocera Olga. «È tutto così difficile, vorremo solo che il terrore sparisse per poter tornare finalmente a casa. Non siamo mai stati abituati a chiedere nulla ma la vicinanza dei soncinesi, dei volontari come Gigi Cappellini e anche del Comune, con l’assessore Roberto Gandioli e gli assistenti sociali che sono sempre presenti per qualsiasi nostra esigenza, ci dà forza».
La famiglia di Oksana il 24 si trovava a Chmel'nyc'kyj. Il piccolo ha bisogno di vedere un logopedista e lì si trovava lo specialista più vicino. Dal nulla, una normale giornata si trasforma in orrore. Arrivano le notizie e l’allarme generale: stanno cadendo le bombe, l’invasione russa è iniziata. La fuga prima nella cittadina natia, a casa della mamma, e poi di nuovo le sirene. Bisogna correre nei rifugi. «Suonavano tutta la notte, non potevamo dormire tranquilli. Ho capito allora – ricorda la donna – che non potevo tenere lì i miei bambini. Dovevo metterli in salvo». L’ultimo bacio ai cari, poi comincia una lunga Odissea che si concluderà ai confini della Romania. Lì i volontari li vanno a recuperare. Poi li portano in un albergo, li sfamano, gli danno un letto. «Ci hanno trattati molto bene».
Ma Bucarest è una tappa, il cuore e la salvezza sono altrove. Con un treno raggiungono Bergamo, attesi dalla Polizia doganale. Poi le pratiche a Soncino. Ora hanno una nuova casa nel borgo con l’amata Olga. Lei li aiuta a raccontarsi, loro l’italiano ancora non lo conoscono. Ma il pianto è quello di tutti. Ora sono al sicuro ma i pensieri volano altrove: «Non vogliamo essere profughi. Ringraziamo l’Italia, ringraziamo Soncino ma ripartiremmo domani. Speriamo che questa follia finisca». Su quella terrazzina sventola una nuova bandiera blu e gialla. In piazza Garibaldi pure.
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