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CORONAVIRUS. LA RIFLESSIONE

Vaccino ai malati terminali, don Lucini favorevole: «Sì, così si va oltre l’abisso nella dignità»

«Tutto ciò che contribuisce ad alleviare il dolore totale ed è eticamente ammesso è da perseguire»

Riccardo Maruti

Email:

rmaruti@laprovinciacr.it

22 Agosto 2021 - 10:16

Vaccino ai malati terminali, don Lucini favorevole: «Sì, così si va oltre l’abisso nella dignità»

Don Maurizio Lucini

CREMONA - Don Maurizio Lucini è incaricato diocesano per la pastorale della Salute e assistente spirituale all’ospedale di Cremona. Alle sue parole e alle sue preghiere si affidano in tanti, ricoverati nei reparti del Maggiore: per questo il suo punto di vista sull’opzione vaccinale per i malati terminali risulta particolarmente significativo.

Anche per i malati che affrontano l’ultimo miglio dell’esistenza la vaccinazione rappresenta un’effettiva opportunità? Che cosa pensa della possibilità di vaccinarsi offerta a questa categoria di pazienti? 

Nelle cure palliative tutto ciò che contribuisce ad un alleviamento del cosiddetto ‘dolore totale’ ed è eticamente ammesso è da perseguire, questo perché la persona possa vivere con pienezza e dignità un tratto di vita così importante e una delle dimensioni fondamentali, che in questa fase è oggetto di attenta cura, è quella relazionale

«Nelle cure palliative tutto ciò che contribuisce ad un alleviamento del cosiddetto ‘dolore totale’ ed è eticamente ammesso è da perseguire, questo perché la persona possa vivere con pienezza e dignità un tratto di vita così importante e una delle dimensioni fondamentali, che in questa fase è oggetto di attenta cura, è quella relazionale. Sempre nella sofferenza abbiamo bisogno del conforto e della vicinanza di coloro che amiamo perché la malattia di natura sua tende ad isolare a maggior ragione ciò accade nelle fasi terminali della vita. Ci sono state persone in Hospice che hanno attraversato l’abisso della morte tenendo per mano coloro che amavano, non è questo un modo semplice ma sublime per dare dignità ad una vita, a quell’istante? Quante volte, in questi quasi due anni, abbiamo esecrato la nefasta sorte di morire in solitudine. Allora se il Covid, fra i suoi danni peggiori, ha contribuito a rendere più sole le persone, e ancor di più quelle segnate da malattia grave, producendo un dolore psicologico relazionale di altissima intensità, ben venga la soluzione di un vaccino che permetta di dare una possibilità ai malati, soprattutto per quelli gravi, di riacquistare la libertà di tenere la mano a coloro che amano».


Nel territorio cremonese il vaccino è stato richiesto da una ventina di cittadini sottoposti a cure palliative: la loro scelta può rappresentare un esempio per tutte le persone che si dimostrano scettiche nei confronti dei vaccini anti-Covid?

«Vorrei rispondere di sì, ma non ne sono certo. Constatiamo che diversi sono i motivi per cui una persona è scettica: si va da chi ha semplicemente paura del vaccino a chi porta tesi complottiste. È difficile scalfire paure o ideologie. Sicuramente la serenità e la gioia che i malati e i loro cari trasmetteranno nel potersi riabbracciare e condividere momenti di ritrovata intimità, grazie alla protezione vaccinale, sarà il miglior esempio e la più bella testimonianza».

Lei stesso è stato contagiato dal Covid nella sua missione in corsia. Durante la prima ondata epidemica. Qual è stato il momento più duro della sua esperienza in prima linea?

«Il momento più duro è stato provare, per alcuni mesi, un grande senso di impotenza; noi cappellani non avevamo medicine, terapie, ossigeno... Eravamo davanti a quei malati a mani nude, non avevamo nulla da dare se non una semplice presenza. Tutto si giocava su una presenza e là dove era possibile un dialogo, eravamo gli unici non sanitari, oltre al personale delle pulizie, che i pazienti potevano vedere. Ma un altro momento duro è stato nell’assistere alla sofferenza, allo scoramento e, in qualche caso, alla disperazione degli operatori. Potevamo solo dire: Preghiamo per voi! Vi vogliamo bene!».

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