L'ANALISI
04 Agosto 2021 - 06:26
CREMONA - «Non è stata una festa trappola. Nessuno l’ha obbligata. Li ha scelti lei. Con uno c’era già stata, l’altro le piaceva. E, poi, ci aveva detto che aveva 19 anni». Davanti a Beatrice Bergamasco, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Mantova, si è difeso così il ragazzo di Suzzara (nel Mantovano), nel cui appartamento il 18 maggio scorso una ragazzina di 16 anni, cremonese, sarebbe stata vittima di una violenza sessuale di gruppo.
Il giovane, 20 anni, è accusato con altri quattro amici (hanno tra i 20 e i 23 anni e risiedono tutti nel Mantovano). Lui ed altri due sono stati sottoposti all’obbligo di dimora con il divieto di allontanarsi dal proprio domicilio dalle otto di sera; gli altri sono stati arrestati e portati in carcere.
L’1 giugno scorso, due settimane dopo la festa, accompagnata dalla madre, la sedicenne si era presentata al Pronto soccorso pediatrico dell’ospedale Maggiore di Cremona. Al medico che l’ha visitata, aveva detto di avere un forte mal di pancia. Temeva di essere rimasta incinta dopo la violenza subita durante quella festa ‘trappola’.
Sono scattate le indagini della Squadra mobile, diretta da Marco Masia. La minore, una ragazzina con delle fragilità, aveva confidato la violenza sessuale ad un suo amico. Sentita in audizione protetta con la psicologa che la segue, a chi ha indagato aveva dato elementi utili per risalire ai cinque giovani presenti in quell’appartamento, descrivendo anche l’ambiente. La polizia aveva inoltre sentito l’amico, il quale aveva confermato. Una indagine serrata per dare un nome e un volto ai cinque. I riscontri, le perquisizioni, il sequestro dei telefonini e dei supporti informatici. Gli arresti.
Il ventenne ha cercato di smontare la verità della ragazzina, come ha riferito il suo avvocato, Mauro Messori, sentito da Rossella Canadè, giornalista della Gazzetta di Mantova. «I rapporti sessuali , a casa mia, quella sera ci sono stati, ma soltanto con due di noi, io e altri due miei amici non c’entriamo nulla. E non c’è stata nessuna costrizione», ha sostenuto il giovane. Da quello che sapevano, la sedicenne aveva una mezza storia con uno di loro «e l’altro lo ha scelto lì».
Nessuna trappola, secondo il giovane indagato che l’ha spiegata così. «L’abbiamo conosciuta in un bar a Suzzara quel pomeriggio. Lei era con un amico di Pegognaga e da quello che ci hanno raccontato, era venuta a Mantova la sera prima. Abbiamo scambiato poche parole, quasi niente». Insomma, due chiacchiere.
La ragazza avrebbe detto di avere 19 anni. «Per noi, quindi, era maggiorenne», ha affermato il giovane. Secondo la sua verità, il gruppo, al bar, ha preso accordi per vedersi la sera nell’appartamento di Suzzara, «dove ogni tanto facciamo delle feste tra amici, perché io vivo da solo e abbiamo inviato anche lei».
La sedicenne era l’unica ragazza, ha ammesso il ventenne. «Avevamo capito che era interessata ad un altro di noi, con cui, tra l’altro, aveva già avuto un rapporto», ha aggiunto. La sera, si sono trovati tutti nel suo appartamento, a Suzzara.
La sedicenne è stata fatta ubriacare? «No — ha giurato il ragazzo —. Non c’erano superalcolici, soltanto qualche birra». E sempre secondo la sua verità, la minore si sarebbe appartata «prima con il ragazzo con cui già flirtava, decidendo, poco dopo, di stare anche con un altro. Ma io e gli altri due non abbiamo fatto nulla, siamo stati per i fatti nostri», ha precisato il ventenne.
Una versione, la sua, che però cozza con il racconto della presunta vittima, la quale ha invece sostenuto di essersi ribellata in maniera decisa, quando le avances dei ragazzi sono diventate più pesanti. Lei stessa ha puntato il dito contro due di loro, quelli che per l’accusa l’avrebbero violentata, mentre gli altri sarebbero rimasti impassibili, indifferenti alla sua richiesta di aiuto, di intervento.
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, l’avvocato che difende i giovani finiti in carcere, ha chiesto la misura degli arresti domiciliari. Il gip si è riservato.
La Procura di Mantova ha già dato l’incarico al consulente tecnico informatico di esaminare i pc e i cellulari sequestrati dalla Squadra Mobile per verificare se siano stati girati dei filmati, circostanza che aggraverebbe la posizione degli indagati.
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