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GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO

La storia di Bubacarr, 29enne giornalista in fuga dal Gambia

Ora fa il cuoco alla Caritas: «Ho trovato la serenità che mi aveva augurato mamma»

Bibiana Sudati

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redazioneweb@laprovinciacr.it

20 Giugno 2021 - 08:23

La storia di Bubacarr, 29enne giornalista scappato dal Gambia

Bubacarr Mballow

CREMONA - Ora Bubacarr si sente al sicuro. Gli sono serviti sette anni, ma finalmente ha raggiunto la serenità che sua madre gli aveva augurato quando una notte del marzo 2014, baciandolo sulla fronte, tra le lacrime e la paura lo aveva salutato: quel suo ragazzo alto e magro, studente modello con la passione di scrivere quello che stava accadendo nel suo Paese, il Gambia, governato dalla dittatura, doveva andarsene al più presto. Scappare era la sua unica via di salvezza.

Oggi Bubacarr Mballow, 29 anni, aiuto cuoco nelle cucine della Casa dell’Accoglienza di viale Trento Trieste, quelle ore drammatiche, ma cariche di speranza, le può raccontare. È la prima volta che lo fa, almeno pubblicamente, per celebrare la Giornata mondiale del Rifugiato e omaggiare tutte quelle vite che come la sua sono ripartite, approdando in Italia, porta d’Europa e ingresso simbolico di un’esistenza diversa ma non meno complicata. Bubacarr narra proprio come faceva quando era giornalista nel suo Paese per il Foroyaa Newspaper, quotidiano lanciato nel 1987 dal partito di opposizione e foglio determinante nella caduta dell’ex presidente Yahya Jammeh nelle elezioni del 2016. Racconta dando voce, attraverso la sua, anche a tutti quelli che non ce l’hanno fatta, come le 100 anime perdute in mare mentre viaggiavano in un barcone gemello a quello dove anche lui è stato costretto a salire per continuare a vivere. 

La mia esistenza in Gambia era felice. In famiglia non mi mancava nulla: mio padre era un generale dell’esercito, poi c’eravamo mia madre, io e mia sorella. Un’esistenza normale, fino al colpo di Stato nel quale mio padre è stato coinvolto. La dittatura non gliel’ha perdonato, è stato arrestato e non è più tornato

«La mia esistenza in Gambia era felice – racconta in italiano perfetto, iniziando a riavvolgere il film della sua vita – . In famiglia non mi mancava nulla: mio padre era un generale dell’esercito, poi c’eravamo mia madre, io e mia sorella. Un’esistenza normale, fino al colpo di Stato nel quale mio padre è stato coinvolto. La dittatura non gliel’ha perdonato, è stato arrestato e non è più tornato».  Scomparso nel nulla, probabilmente ucciso. «I militari hanno iniziato a tenerci d’occhio. Mia madre mi ha nascosto, avevo 16 anni e la mia vita era stravolta in poco tempo. Ho voluto continuare a studiare, era il mio unico desiderio. A fatica mi sono diplomato e poi laureato. Volevo fare il giornalista per scrivere ciò che stava accadendo nel mio Paese e che nessuno sapeva. L’ho fatto e ho pagato le conseguenze».

Prima alla radio, poi sul quotidiano Foroyaa: Bubacarr con coraggio scrive un articolo pesante contro il governo chiedendo conto delle decine di misteriose sparizioni di dissidenti politici, arrestati e inghiottiti nelle prigioni del Gambia. Un pezzo che gli costa caro. I militari lo cercano e lui, in fretta e furia, deve organizzare la fuga per salvarsi: è il marzo 2014 quando parte. E solo a dicembre approderà in Sicilia. «Un viaggio che non dimenticherò mai e del quale ricordo ogni singolo giorno. La fame, la sete, il deserto dove siamo stati quattro giorni, la solitudine in compagnia di altri disperati come me. La paura e la speranza, che si alternavano ma non ho mai pensato di non farcela».

Attraversa mezza Africa: Senegal, Mali, Burkina Faso, Nigeria, Libia. Qui, rimane per qualche settimana, poi scoppia la guerra e Bubacaar, questa volta deve decidere di andare oltre il Mediterraneo: «Siamo partiti di notte: c’erano solo buio e acqua attorno a noi e la sensazione di andare incontro al nulla».

Poi, dopo tre giorni di traversata infernale su un gommone, la vista delle coste italiane: «Non potevo credere di avere fatto tutto quello che avevo fatto, mi sembrava un sogno. Sono rimasto a Catania per due settimane, poi ci hanno mandato a Milano e infine sono approdato a Cremona. Dopo sette mesi ho ottenuto lo status di rifugiato politico, ma soprattutto, ho trovato una nuova casa. Per questo ho voluto darmi da fare come volontario per aiutare chi aveva aiutato me e chi come me aveva vissuto la stessa odissea». Oggi Bubacarr ha un lavoro, fa il cuoco alla Caritas, ma nel cassetto ha sempre il sogno di fare il giornalista. E in mano, stretto in un pugno, quello che desiderava a 16 anni: «La serenità che la mia mamma mi aveva promesso».

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Commenti all'articolo

  • cirio2

    20 Giugno 2021 - 10:00

    Ok bella storia strappalacrime, quando noi avremo la serenità che ci spetta ?

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