L'ANALISI
12 Maggio 2021 - 18:11
Una sala parto (foto di repertorio)
CREMONA - E’ morta lì dove per nove mesi ha vissuto, è cresciuta e si è sentita protetta: il pancione della sua mamma. Ha nuotato come un pesce nel liquido amniotico, ha tirato qualche calcio, poi il silenzio. Il cordone ombelicale l’ha strozzata. Nel giorno della sua nascita, la bimba è morta per asfissia. Il dramma si è consumato il 3 gennaio del 2019 nella sala operatoria dell’ospedale Maggiore.
Su richiesta del pm Chiara Treballi, oggi il gup ha rinviato a giudizio la ginecologa Alessandra Scarpa. L’accusa è di omicidio colposo. Termine della gravidanza, il 30 dicembre del 2018. La sera di San Silvestro, mamma Nicoletta si è presentata in reparto. Viene sottoposta ad un esame. «In sede di valutazione della paziente che si trovava alla quarantesima settimana di gravidanza, emerge una riduzione del liquido amniotico (Afi inferiore a 5 centimetri) , una riduzione della crescita fetale e delle alterazioni della glicemia materna», è scritto nel capo di imputazione.
La sera di Capodanno, mamma Nicoletta è stata mandata a casa. E’ ritornata l’1 gennaio per una valutazione «senza ulteriori approfondimenti». Il 3 gennaio, ha partorito la bimba morta.
Secondo l’accusa, la sera di San Silvestro la ginecologa avrebbe dovuto ricoverare mamma Nicoletta «al fine di permettere una più puntuale valutazione» della riduzione quantitativa del liquido amniotico e per monitorare il feto. Ciò avrebbe «consentito di procedere con l’induzione del parto o al parto cesareo alle prime avvisaglie di sofferenza del feto».
Mamma Nicoletta e suo marito oggi si sono costituiti parte civile con l’avvocato Marcello Lattari, la ginecologa è difesa dall’avvocato Diego Munafò. Il processo si aprirà il 17 dicembre prossimo.
Il 3 gennaio, il padre, sconvolto, se la prese con il primario Aldo Riccardi. Gli rifilò un pugno: sette giorni di prognosi. Riccardi lo ha poi denunciato.
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