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CREMONA

Bimbo nato morto, i periti 'scagionano' la ginecologa a processo

In aula si tornerà il 14 febbraio: saranno sentiti i consulenti tecnici dell’avvocato di parte civile e della difesa

Cinzia Franciò

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cfrancio@laprovinciacr.it

10 Gennaio 2020 - 18:44

Bimbo morto, i periti 'scagionano' la ginecologa a processo

Il tribunale di Cremona

CREMONA (10 gennaio 2020) - Quando il 9 luglio del 2017 mamma Jessica ha partorito, Manuel era già morto da 72-48 ore. Ed è morto per «asfissia acuta da distacco intempestivo di placenta». Nulla, nei giorni precedenti, avrebbe fatto presagire il dramma. Sicuramente, non quella «lieve proteinuria con valore di 30mg/dl» rilevata nel sangue delle urine effettuato dalla mamma il 24 giugno, perché quei «30 milligrammi sono il limite inferiore». Mentre «si è in presenza di proteinuria grave quando il valore è sopra i 160 grammi».
Andrea Verzeletti, medico legale, e Michele Costa, ginecologo, entrambi dell’Istituto di medicina legale di Brescia, sono i consulenti tecnici della Procura che non hanno rilevato censure alla ginecologa dell’ospedale Maggiore accusata di non aver ricoverato o dato terapie a casa, quando il 28 giugno Jessica, 37 anni, già madre di due figli, si presentò direttamente al settimo piano del reparto, by-passando il Pronto soccorso. Jessica accusava stanchezza, affaticamento e dolore alle gambe.
Mamma Jessica venne congedata, rassicurata sui valori «nella norma» della proteinuria e le venne detto di presentarsi il 9 luglio per il parto programmato. «Le cure prestate sono deficitarie, ma non ponibili in nesso causale con la morte del feto. Nesso causale che, nella letteratura internazionale, sussiste quando la proteinuria è grave, ha valori molto più elevati e non era questo il caso. Una terapia non avrebbe comunque modificato la prognosi». Una visita ginecologica fatta il 28 giugno avrebbe potuto cambiare le cose?», ha rilanciato l’avvocato Diego Munafò, legale della ginecologa. «Assolutamente», ha risposto Costa, per il quale, «poter sostenere che una gestione differente della paziente avrebbe portato a conseguenze diverse è un pochino ‘tirato per i capelli’».
Il 20 luglio, Verzeletti fece l’esame autoptico, dal quale emerse non solo «un ematoma retro-placentare indicativo di un distacco placentare», ma anche «un dettaglio importante». Ovvero, «il feto aveva una infezione». Ma «la diagnosi della infezione uterina è assolutamente impossibile da riscontrare durante la gravidanza», ha detto Costa. E fu riscontrata «una iper spiralizzazione del cordone ombelicale: il cordone ombelicale si avvolge su se stesso, ma non vi è alcuna linea guida che dica che si debba verificare». Per Verzeletti, «i tre fattori hanno avuto un loro ruolo; sicuramente il ruolo più importante lo ha avuto il distacco intempestivo della placenta». In aula si tornerà il 14 febbraio: saranno sentiti i consulenti tecnici dell’avvocato di parte civile, Stefania Bravi, e della difesa.

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