L'ANALISI
12 Marzo 2025 - 05:20
CREMONA - I recenti episodi di violenza nel cuore della città a opera di giovanissimi lasciano senza parole. Freddezza ed efferatezza nel colpire spaventano, soprattutto perché a opera di giovanissimi. Ma cosa sta succedendo? Basta reprimere? E poi? Interrogativi che si mischiano a un senso crescente di insicurezza e non basta trovare il capro espiatorio, limitare i casi a una baby gang o a profili adolescenziali difficili. C'è di più: bisogna andare alla radice dei comportamenti. Interrogarsi sul senso di giustizia che percepiscono i giovanissimi e capire i meccanismi che scatenano la violenza, qual è il rapporto fra gli atti violenti e che risposta morale sollecita.
È con questa finalità che il Centro Criaf, diretto da Paola Cattenati, ha portato avanti una ricerca per rilevare la percezione della legalità e delle regole tra gli studenti: mette in evidenza scarsa consapevolezza del senso di giustizia e di legalità tra i giovani. Inoltre, alla luce del progressivo aumento delle manifestazioni di violenza e aggressività, si è ritenuto necessario approfondire il tema della violenza e la percezione che gli studenti ne hanno. Il campione di ricerca ha coinvolto un totale di 2.118 studenti fra i territori di Cremona e Brescia e i dati raccolti sono l'esito degli sportelli di ascolto attivati nelle scuole, di focus group e dalla somministrazione di questionari ad hoc.
«Ciò che emerge — spiega Paola Cattenati — è che il concetto di giustizia per i ragazzi è un concetto astratto che ognuno interpreta a proprio modo. C'è chi considera la giustizia come strumento di protezione e sicurezza, ma anche atto di vendetta, strumento di punizione per chi commette errori, ma anche per rispettare gli altri. Molti denunciano il fatto di non saper definire che cosa sia la giustizia».
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Tutto ciò ha un riflesso concreto che si esprime in una scarsa consapevolezza di ciò che è legale e ciò che non lo è. Così su comportamenti concreti emerge che non restituire i soldi ad un amico per il 59% è legale, lo è pure scaricare materiale pirata da internet per il 56%. Per il 51% è lecito pubblicare foto di altri sui social media senza il loro consenso, così come è legale per il 53% creare un profilo falso per denigrare la persona. Il 55% reputa lecito diffondere informazioni false su una persona solo per ferirla. La percentuale cambia quando dal mondo del virtuale — considerato evidentemente impunito e libero da vincoli morali — si passa al mondo reale e così imbrattare un edificio pubblico è legale per il 19%, una minoranza è vero, ma non così esigua. Nella ricerca condotta dal Criaf la scarsa consapevolezza di ciò che sia giusto e ingiusto, legale e illegale fare porta inevitabilmente a comportamenti che gli adulti considerano violenti, ma che sono la risposta istintuale a uno scenario in cui l'io ha la meglio sull'altro, i propri bisogni e la necessità di difendersi prevalgono su tutto. Non è un caso che i ragazzi individuino le principali fonti di esposizione alla violenza non solo nei contenuti proposti dagli influencer, nei videogiochi, nel web, nei testi delle canzoni, ma anche nei comportamenti degli adulti, per strada, a scuola e nell'ambito sportivo. I ragazzi sembrano percepire che gli atteggiamenti violenti abbiano cittadinanza attiva in molti, forse troppi contesti che li coinvolgono direttamente.
Ciò porta Paola Cattaneati a chiedere agli adulti un atto di responsabilità e di azione: «I dati raccolti offrono uno spunto di riflessione fondamentale per gli adulti, in quanto comportamenti e azioni illegali che vengono agiti con regolarità e frequenza, se non adeguatamente orientati, possono condurre i ragazzi ad intraprendere 'carriere devianti' — afferma —. Pertanto, è fondamentale che gli adulti svolgano un ruolo attivo nell'accompagnare i giovani nella costruzione di una consapevolezza solida riguardo alla legalità, promuovendo il dialogo, la riflessione e la responsabilità ed il senso critico».
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