L'ANALISI
07 Novembre 2022 - 05:00
Essenziale. Ma potente. Compatto. Ma di grande impatto scenico. Moderno. Ma perfettamente inserito in un contesto artistico millenario. Il nuovo altare della Cattedrale di Cremona è bellissimo. È lì da ieri, ma sembra lì da sempre, in un’armonia sorprendente, che nessun rendering poteva svelare, anticipando il verdetto degli occhi e del cuore.
Quel monolite di marmo bianco è subito diventato il nuovo fulcro del duomo, con la forza della semplicità, ma anche con il peso della storia, perché al suo interno contiene le reliquie più care ai fedeli cremonesi, custodite in un prezioso scrigno d’ottone e d’argento. Quando il vescovo Antonio Napolioni lo ha deposto in un incavo appositamente creato tutti i presenti hanno capito che il suo gesto andava oltre la cronaca, lo consegnava all’eternità insieme a una pergamena scritta in latino. Palpabile l’emozione, nella solennità del momento. «Abbiamo osato intervenire per la prima volta dopo 460 anni», ha sottolineato il vescovo.
Le chiese - ha aggiunto - non svolgano solo una funzione e non hanno solo un valore estetico, ma sono un simbolo, danno forma all’invisibile, rappresentano la fede, il valore universale di una religione che parla d’amore, di fratellanza, di grazia, di carità e di pace. Non certo una teocrazia, una forma di potere, ma - ha rimarcato il vescovo - un servizio, una capacità di attrazione, un esempio. «Almeno i cristiani imparino a vivere in pace», ha auspicato Napolioni, anteponendo l’interesse di tutti ai privilegi di pochi, il bene universale ai «nostri piccoli io». Che lezione! Che sfida! Quanto valore aggiunto, attorno a quel monolite di marmo bianco…
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