L'ANALISI
10 Marzo 2025 - 05:20
CREMONA - Più che una casa, un museo. Dove ogni oggetto è uscito dalla sua mente brillante: gli antichi e affascinanti orologi riprodotti fedelmente, le minuscole statuette in legno, il camino, la fontana, il lampadario. «Ho smesso per l’età», dice, quasi scusandosi, Pieraugusto Grisoli, 91 anni. È un artigiano geniale, un fantasioso artista del ferro, del bronzo e dell’ottone, forgiati non per vendere ma per il piacere di creare. È orgoglioso di essere un autodidatta, di essersi fatto da solo. «Ho la quinta elementare».
Da bambino ha vissuto a Cremona nei dintorni di piazza Castello. Poi, alla prematura morte del padre, si è trasferito a Spinadesco, presso i nonni. Giovanissimo, ha lavorato per una ditta che aveva i macchinari per mietere il grano ed è lì che, aggiustandoli, ha imparato a fare il fabbro. «Il mio capo ripeteva: ‘Come non c’è una cosa? Se non c’è, si fa’. Ho portato sempre con me quell’insegnamento».
Era un ragazzo versatile, ha appreso a suonare la fisarmonica e andava con altri musicisti per sagre e feste di paese. In seguito è stato assunto come meccanico e, dopo il matrimonio con Maria che gli ha dato quattro figli (Luigi, Giuseppe, Michele, Susanna), si è spostato a San Savino, dove ha aperto un’officina. Era anche un promettente atleta, come testimoniano le immagini in bianco e nero affisse alle pareti della cucina. «Praticavo la ginnastica ma soprattutto il sollevamento pesi: ho conquistato una medaglia di bronzo al campionato italiano».
Tra la sistemazione di un guasto al motore e un volteggio agli anelli nella palestra che gestiva al quartiere Po, la scoperta del mestiere del fabbro. «Non c’era niente che non fosse in grado di fare. In quel periodo ha costruito un mini trattore per i miei fratelli piccoli», ricorda, con un filo di commozione, la figlia. Risale a quegli anni la scoperta di quella che sarebbe diventata la sua passione. «C’erano degli amici — riprende il padre — che riparavano orologi e così, sapendo utilizzare il tornio e altri arnesi, ho cominciato anch’io».
Da una fotografia copiò e realizzò la sua prima macchina del tempo, uno ‘svegliarino monastico’: ideato dai frati benedettini, scandiva sul comodino accanto al letto la vita quotidiana in convento suonando le ore. Dopo l’antesignano del timer, un orologio a gravità: sprovvisto di molla per la carica, funziona grazie al suo peso che scendendo verso la base, per il principio gravitazionale, fornisce l’energia necessaria per la sua attivazione. Dopo ancora, il groviglio di sofisticati meccanismi dell’orologio ad acqua: questa, cadendo dall’alto, riempie in modo alterno due bacinelle la cui oscillazione aziona il congegno che fa girare le lancette. «Mi sono documentato sui libri, ho letto molto. Per fabbricare gli esemplari più difficili impiegavo mesi. Sono tutti fatti a mano, non ci sono pezzi di ricambio che si possono comprare». Ben suoi otto orologi meccanici e la riproduzione della Torre dei venti di Atene sono esposti, insieme con i prodigi di altri due cultori delle antiche tecniche come Giancarlo Bassani e Alessandro Maianti, presso il Museo verticale del Torrazzo, nella Sala di misura del tempo.
Da 46 anni Grisoli si è trasferito a Pozzaglio, in una vecchia cascina abbandonata che ha rimesso interamente a nuovo. Sotto il portico ha costruito un edificio a mattoni in cui è ospitato un orologio astronomico a quadrante che rileva la posizione del sole e della luna nelle costellazioni dello zodiaco; segnala il momento dell’alba e del tramonto; riporta il calendario con il santo del giorno. Spicca, inoltre, l’indice a forma di drago che compie un giro su se stesso in un periodo di oltre 18 anni evidenziando in questo ciclo, attraverso particolari allineamenti, il fenomeno delle eclissi.
«In questo momento è fermo, ma non sarebbe complicato rimetterlo in moto. No, non disegnavo prima i modelli, li avevo qui, nella mia testa». Sul muro del cortile un orologio solare e, collegati all’abitazione, due laboratori con l’incudine, i martelli di varie misure, la fresatrice, il trapano, il maglio. Nella prima officina si forgiavano i metalli, nella seconda gli orologi. Ora gli attrezzi sono riposti in ordine, il ticchettio delle lancette non si fa più sentire. «Uno degli ultimi pezzi che stavo assemblando è uno ‘svegliarino’. Se lo finirò? Vedremo».
L’artigiano dalle mani d’oro è famoso per l’ampia produzione di questi complicati capolavori ad alta precisione e finemente intarsiati, ma la sua maestria è scritta anche in tutto ciò che lo circonda. Come la pesante scultura, di cera poi fusa in bronzo, che ritrae il fabbro delle vecchie 50 lire. O le miniature, che il padrone di casa estrae da dietro la vetrina del mobile, raffiguranti un cervo, uno scoiattolo, un canguro, una giraffa e un lupo.
«Ero immobile sul divano per un problema al ginocchio. E così, con un coltellino, ho pensato di vincere la noia incidendo questi animaletti. È più difficile fare le cose piccole che quelle grandi». Piccole, addirittura minuscole come la mosca in ferro che, sorridendo, sfila dal portafoglio. «Al ristorante l’ho appoggiata per scherzo sul bordo del piatto e il cameriere, credendola vera, voleva cambiarlo. L’ho bloccato in extremis».
Sul tavolo un’altra creazione: un gatto che dorme ignaro del topo ai suoi piedi. «Ho visto dal macellaio un bell’osso di mucca e gli ho chiesto di darmelo per realizzare l’opera».
Tra un quadrante e l’altro, ha fabbricato le decorazioni del pozzo nel cortile, le cancellate per i parenti, il portabandiera sul municipio di Pozzaglio, l’insegna della locanda del paese. E altre mille meraviglie uniche nel loro genere. Gli anni, com’è normale che sia, si fanno sentire. «Mi sono sbizzarrito abbastanza, ora mi riposo. Non c’è più niente da inventare». Saluta con una vigorosa stretta di mano e torna tra i suoi ‘gioielli’, silenziosi ma che parlano ancora di lui, il signore del tempo.
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