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PENSIERI LIBERI

Ogni nuova forma di censura è come un’ombra sulla civiltà

Il caso Dahl: «Non gli è toccata una sorte improvvisa: la correzione dell’opera artistica ci insegue»

Fulvio Ervas (scrittore ed ex insegnante di liceo)

07 Marzo 2023 - 05:25

Ogni nuova forma di censura è come un’ombra sulla civiltà

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La valvola Wade-Dahl-Till è uno strumento, ideato nei primi anni Sessanta del secolo scorso, per contrastare gli effetti della idrocefalia di cui soffriva il figlio di Roald Dahl, che non è solo uno degli inventori ma anche lo scrittore, e per questo assai più famoso. Gli inventori concessero l’uso gratuito dell’invenzione, che migliorò la vita di molti pazienti. Un atto di generosa civiltà.

Le persone fuori scala, per creatività e irrequietezza intellettuale, si muovono in tante direzioni: Dahl fu uno scrittore visionario nel terreno narrativo per l’infanzia, ma anche un cittadino britannico accusato di antisemitismo (probabilmente aveva simpatia per la causa palestinese) e pure un uomo capace di migliorare la vita di persone malate.

La mente di molti scrittori, soprattutto quando hanno lo sguardo ampio, non è un’area regolare, definita, priva di rimescolii e inciampi. Oltretutto è una mente cresciuta ed educata in epoche precise, con i valori delle quali alle volte combatte, altre condivide, alle volte influenza. È assolutamente certo che libri che scaturiscono da queste menti contengono fuochi pirotecnici. Esagerazioni, provocazioni intellettuali, esplorazioni di significati. E lasciano sul terreno parole. Tantissime parole. Alcune, in questi amari tempi, vengono considerate «scorrette».

Non che a Dahl stia toccando una sorte nuova e improvvisa: l’opera di censura e correzione delle produzioni artistiche ci segue come un’ombra. Potremmo dire che le varie forme di censura sono una sorta d’ombra della civiltà: dai libri messi all’Indice dalla Chiesa a quelli proibiti nei decenni stalinisti, tanto per ricordare qualcosa. Ma lo stesso fenomeno può assumere non solo forme diverse, ma intensità diverse. E in quest’epoca di flussi veloci l’idea, balzana, di setacciare opere d’ingegno per scoprirvi inadeguatezze appare come inarrestabile. Usiamo un’etichetta per indicare la causa di quello sforbiciare: politicamente corretto. Non è qui il caso di ragionare su cosa realmente significhi il connubio tra politica e correttezza e se quel connubio poi possa, concretamente, funzionare.

Avanzo un’altra osservazione: non c’è dubbio che parti dell’umanità considerino se stessi dotati di qualità superiori rispetto alle altre parti. E che si sentano in dovere di esprimerlo, risultando poi discriminatori, razzisti, suprematisti, insomma variamente sciocchi. Sciocchi perché c’è un errore di fondo in questo artificioso ascensore di se stessi contro altri: che l’umanità, come tutta la vita, è alle sue fondamenta diversa per infinite qualità non definibili secondo standard, parametri prefissati, credenze contingenti. Quelli che si consolano, etichettando gli altri, attribuiscono a sé valori privi di oggettività e, spesso, di senso. Questo errore si alimenta per la timida conoscenza di un altro fatto fondamentale: la specie umana brilla più per capacità conflittuali che per afflati cooperativi.

La maggior parte del mondo vivente si fonda sulla cooperazione. Ma una specie che dà grande valore alla competizione e al conflitto che ne deriva deve poi costruire tutta una narrazione per sorreggere questo sforzo in una gara perenne: io sono meglio di te. Per difenderci da questo fastidio, e lo è realmente, non abbiamo trovato armi davvero intelligenti ed efficaci.

Pulire i libri, i film, le trasmissioni, la cultura in generale, anche in maniera retrospettiva (il che è del tutto inutile), risponde a un bisogno di protezione. Ma è affrontare il conflitto con le sue stesse armi. Un conflitto senza fine. Allora come si diluiscono — farli sparire non è all’orizzonte — i discriminatori? Non certo togliendo parole dai libri di Dahl.

Immagino, invece, che sorgano nelle città, a Cremona come a Treviso, dei comitati per il Gentile Rispetto; che cittadini d’ogni età, pochi all’inizio, diano vita ad associazioni fondate sulla cortesia e sul riconoscimento della diversità e che, come un Covid delle emozioni, contagino fette sempre più ampie della popolazione. Che si diffonda, soprattutto in quest’epoca di guerre, l’idea che assieme è più efficace che contro. Che l’umanità che si dilania non ha futuro, anche se ha un lungo passato. Di conflitti.

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