L'ANALISI
26 Novembre 2022 - 05:15
SONCINO - Si chiama Gian Vincenzo Zuccotti, ha 65 anni, è primario di Pediatria all’ospedale Buzzi di Milano, preside di facoltà e docente alla Statale. Insieme a Diego Abatantuono, Marco Cappato e Paolo Tronca è tra i vincitori dell’Ambrogino d’Oro 2022, la più prestigiosa statuetta della Lombardia che sarà consegnata il prossimo 7 dicembre. Ed è soncinese. Il luminare della medicina, infatti, è nato nel borgo il 23 dicembre del 1957 nella Cascina Capitolo del Borgo Mattina che ora non esiste più.
I genitori si sono trasferiti un anno dopo la sua nascita a Senago, nel Milanese, ma lui da adolescente tornava nel borgo, di cui era innamorato, ogni estate: «Soncino per me è un luogo meraviglioso, di cui custodisco ricordi bellissimi. Il fatto che oggi, in occasione di questo premio inatteso e che mi riempie d’orgoglio, tanti concittadini si siano ricordati di me, pur lontano da sempre, mi emoziona e commuove. Purtroppo – racconta il professore – non sono più un giovincello e, col tempo, le relazioni scompaiono e i parenti sono sempre di meno. Ma con quelli che restano mantengo un rapporto stretto e il mio affetto per la città murata è grande e immutato».
Ci sarà un pizzico di Soncino, di nuovo, sul palcoscenico del Teatro del Verme. Qui il sindaco di Milano Giuseppe Sala, tra 11 giorni, consegnerà le 20 statuette dedicate al patrono della città, gli Ambrogini appunto, e una andrà al luminare della pediatria Zuccotti.
Dopo Andrea Magarini, ideatore della Food Policy meneghina, è il secondo tra i nati all’ombra della rocca a essere insignito della storica benemerenza. «Un riconoscimento inatteso e che, tanto meno, davo per scontato. Anzi – racconta il medico – sempre più di rado ci si vede riconoscere dei meriti per l’impegno e la passione profusi nel proprio lavoro e dunque questa notizia mi ha colto di sorpresa ed emozionato».
Come da tradizione, le motivazioni vere e proprie saranno svelate dal Comune di Milano, che è l’organo di selezione, solo al momento della consegna. Un’idea, però, il prof se l’è fatta: «Posso pensare a due motivi, principalmente. Il primo è che, come i miei colleghi e collaboratori, credo di aver dato un contributo importante alla crescita dell’Ospedale dei Bambini Buzzi, dotando la città e la Lombardia di una struttura di eccellenza internazionale, come riconosciuto di recente da Newsweek che ci ha assegnato il 43esimo posto a livello mondiale fra le strutture pediatriche. Il secondo – prosegue – potrebbe riguardare il mio ruolo di preside nella facoltà di Medicina della Statale. Durante la pandemia, infatti – svela il professore – abbiamo creato dal nulla il Cod, Centro Operativo Dimessi, che ha seguito e monitorato più di 150 mila persone colpite dal virus. Abbiamo sviluppato test salivari e sierologici, poi ancora attivato le Usca private e fatto tutto quanto nelle nostre possibilità per scongiurare lockdown e isolamenti. Una lotta quotidiana e impegnativa col Covid19, insomma che evidentemente non è stata dimenticata».
Una vita, ieri oggi e pure domani, al servizio della medicina dunque. Ma nei ritagli di tempo? «Chiamo i miei parenti – confida – e mi faccio raccontare quel che succede a Soncino, una cittadina che ho vissuto solo da giovane ma che ricordo come se avessi lasciato nemmeno da un giorno intero». Istituzione della medicina, fama nazionale e mondiale, ma coi piedi sempre per terra: «Quando sento i miei cugini di Soncino, spesso, è anche perché serve qualche consiglio medico o più nello specifico pediatrico. Se posso dare una dritta lo faccio sempre volentieri, d’altronde è il mio lavoro».
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