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IL REPORT SUGLI IMMIGRATI

Calano gli stranieri occupati: mercato del lavoro in affanno

Tra il 2020 e il 2021 la flessione degli extracomunitari è stata del 2,8%. E si riduce il loro contributo sul Pil

La Provincia Redazione

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02 Novembre 2022 - 05:05

Calano gli stranieri occupati: mercato del lavoro in affanno

CREMONA - Fa registrare una contrazione (-2,8% tra 2020 e il 2021) la presenza di soggiornanti stranieri non comunitari a Cremona e provincia. Un calo che pesa sull’agricoltura, sull’industria, sui servizi del terziario, tutti settori che da anni occupano alte percentuali di lavoratori stranieri e che sono sempre più in sofferenza. Quanto al totale degli stranieri, i residenti in provincia di Cremona sono rimasti pressoché immutati (42.031 contro 42.100, rappresentano il 12% della popolazione ). La metà esatta sono donne. A rischio sono tutti settori che, con una progressiva mancanza di manodopera straniera, entrerebbero in profonda crisi. Un esempio lampante è quello dell’assistenza alle persone: la gran parte delle famiglie italiane con anziani, minori o disabili sarebbe più sola e priva di aiuto.


«Se venissero impiegati meglio, assicurerebbero vantaggi ancora più alti all’economia nazionale», scrivono gli estensori del Dossier Statistico Immigrazione 2022, a cura di IDOS, in collaborazione con Centro Studi Confronti e Istituto di Studi Politici san Pio V presentato nei giorni scorsi a Roma. «Eppure – aggiunge Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – se si consentisse loro non solo di lavorare più ore regolarmente ma anche di accedere a professioni di più alta qualifica, con contratti più stabili e tutele effettive, sarebbe valorizzato un potenziale ancora oggi mortificato, sebbene quanto mai prezioso in questa fase di crisi globale. Un potenziale che gioverebbe, oltre che agli immigrati, all’intero sistema Paese, dal momento che diminuirebbe l’economia sommersa e l’evasione, aumenterebbe ancor più il gettito in tasse e contributi, renderebbe più transnazionale e competitiva l’economia italiana».

In Italia gli stranieri incidono più tra i lavoratori (10%: 2.257.000 occupati su un totale nazionale di oltre 22,5 milioni nel 2021) che tra la popolazione nel suo complesso (8,8%: 5.194.000 residenti su una popolazione totale di 59 milioni) e, rispetto al 2020, tra gli occupati sono cresciuti del 2,4%. Il 19,6% degli occupati stranieri lavora in part time involontario (il 30,6% tra le sole donne) contro 10,4% degli italiani) e in lavori demansionati rispetto al livello di formazione acquisito (ben il 63,8% svolge professioni non qualificate o operaie e la quota di sovraistruiti è del 32,8% – 42,5% tra le sole donne – contro il 25% degli italiani). Detto questo, gli stranieri continuano a sostenere in misura rilevante l’economia nazionale.


Da una parte, infatti, vivendo e lavorando in Italia, gli immigrati pagano le tasse, consumano e versano contributi: nel 2020 hanno pagato 5,3 miliardi di euro di Irpef, 4,3 miliardi di Iva, 1,4 miliardi di Tasi e Tari, 2,2 miliardi di accise su benzina e tabacchi, 145 milioni di euro per le pratiche di acquisizione di cittadinanza e di rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno. Inoltre, tra comunitari e non comunitari, hanno versato 15,6 miliardi di euro di contributi previdenziali, contribuendo al sistema pensionistico italiano. Ne deriva che il saldo netto tra uscite economiche (28,9 miliardi) ed entrate (30,2 miliardi) legate all’immigrazione è stato ancora una volta positivo di circa 1,3 miliardi di euro a vantaggio delle casse dello Stato.

Dall’altra parte, gli stranieri in Italia continuano sempre più a fare impresa: le attività imprenditoriali a conduzione immigrata (642.638) costituiscono un decimo del totale (10,6%) e sono cresciute dell’1,8% (+11.481) rispetto al 2020, continuando un trend di ininterrotta espansione pure negli anni di crisi e di pandemia. A ciò bisogna aggiungere che gli immigrati svolgono un’ampia gamma di lavori imprescindibili: sono il 15,3% degli occupati nel settore degli alberghi/ristoranti, il 15,5% nelle costruzioni, il 18,0% in agricoltura e ben il 64,2% nei servizi alle famiglie, dove quasi i due terzi degli addetti sono stranieri. Eppure, sebbene contribuiscano in maniera irrinunciabile al benessere collettivo, ne restano sempre più esclusi. Ancora oggi, da decenni, vige per gli stranieri un modello di segregazione occupazionale (per cui lavorano sempre negli stessi pochi comparti, secondo una rigida ripartizione non solo di nazionalità ma anche di genere: le donne per lo più nei servizi domestici e di cura, il 38,2%, e gli uomini nell’industria e nell’edilizia, il 42,4%), una mobilità occupazionale bloccata e una condizione di estrema precarietà.

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