L'ANALISI
16 Gennaio 2025 - 05:20
CREMONA - «L’inverno fu duro e freddo e in alcune terre della Liguria e della Lombardia la neve raggiunse i 9 piedi e durò fino al mese di maggio»: nove piedi, con le antiche misure, significa quattro metri. Così raccontava la grande nevicata del 1570 Ludovico Cavitelli, quando gli storici del XVI secolo annotavano il maltempo e le piene del Po. La nevicata del gennaio 1985 ha l’onore di essere iscritta nella storia: non si arriva ai quattro metri, ma quel metro e poco più di quei giorni sono ‘degni’ di essere ricordati fra ‘li eventi mirabili’. E in chi li ha vissuti provoca l’immancabile (e un po’ nostalgico): io c’ero.
‘Giorni degni’ attualmente, ma chi li ha vissuti 40 anni fa ne avrebbe fatto volentieri a meno. Forse gli unici felici di quei giorni erano i bambini che con gli slittini scivolavano da qualsiasi minima discesa e gli studenti per le scuole chiuse. Per il resto la città restò sotto la coltre di neve per giorni, con polemiche politiche roventi, con le proteste dei commercianti, dei lavoratori, dei pendolari (pochi all’epoca). Anche quel gennaio inizia con un freddo glaciale e per chi era abituato ai climi miti della Magna Grecia e da poco arrivato il Val Padana, io, fu una sorta di choc. E non solo per il freddo o la neve, ma anche per la capote semisfondata della mia Citroën 2 Cavalli posteggiata in via Dante, una strada che non esisteva più. La neve aveva coperto tutto: i marciapiedi, l’aiuola spartitraffico, gli scalini dei negozi, emergevano solo mozziconi di lampioni.
Arrivare sul posto di lavoro (molte aziende però chiusero i battenti per mancanza di merce) sulla Paullese diventa un’impresa, soprattutto se le scarpe sono quasi da spiaggia. Telefonare per sapere qualcosa diventa impossibile: la linea è in tilt, il telefono è muto. E il cellulare? Non esisteva. E così la camminata diventa molto istruttiva sul clima della Val Padana («ma non è più come una volta», si dice adesso). Improvvisamente compaiono centinaia di militari e volontari (alla fine saranno più di 400) che arrivano da Porta Venezia (dalla Col di Lana e dai Magazzini comunali) sembrano tanti orsetti levatori. I negozianti spalano la neve davanti ai negozi, ma dove metterla se non su quella che spalavano i soldati, che a loro volta gettavano ai lati? Qualche alterco, ma si era tutti nella... neve.
Bloccato il sovrappasso del cimitero, il piazzale della stazione è inesistente, i bus fermi, eppur si va avanti in un silenzio ovattato che fa da contraltare al caos: auto di traverso, auto che sgommano, qualcuno urla di avere un appuntamento importante, altri scivolano sul ghiaccio, perfino un ciclista cerca di far strada, però cade, è un signore anziano (o almeno così sembrava a chi non aveva neppure 30 anni) occorre aiutarlo, si alza, riprende la bici e prova ancora, ricade, ma è tardi, il lavoro attende. Alcune aziende sono chiuse, altre aperte, la decisione di andare a lavoro era stata saggia.
La Castelleonese ha subito la stessa sorte di via Dante: semplicemente non esiste, è la grande sagoma della Feltrinelli che fa da guida verso il posto di lavoro, è aperto, del resto si vendeva gasolio da riscaldamento, chiudere sarebbe stato un ‘tradimento’.
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