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‘La foresta della Caldera’, streghe e misteri nel bosco magico

Dal medico scrittore Adriano Tango, un giallo ambientalista nei luoghi della sua infanzia

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

05 Febbraio 2025 - 05:30

CREMA - Nel fitto del bosco una donna dal seno abbondante allatta un cinghialino. La ritrae una vecchia Polaroid acquistata in rete. Un’immagine che, pur se sfuocata e dai contorni poco definiti, ha il potere taumaturgico di riaprire lo scrigno dei ricordi d’infanzia di Giulio Barbagallo, fotografo naturalista con una cicatrice in testa. Segno, ne è convinto, di un delicato intervento chirurgico che gli ha fatto perdere la memoria. Ma sarà stato davvero così oppure ci sono motivi più profondi in quell’amnesia? Il fotografo è l’alter ego di Adriano Tango medico scrittore cremasco di adozione, che ha deciso di tornare sui luoghi della propria infanzia con un giallo a sfondo ambientalista che vuole essere, soprattutto, un omaggio a quella natura, alla magia delle sue atmosfere, agli odori e ai profumi della foresta nella quale aveva libertà di movimento nonostante il pericolo evidente della presenza di una solfatara dagli effluvi micidiali per uomini e animali.

IL BALLO DELLE STREGHE

Nonostante i branchi di cani inselvatichiti in perenne cerca di cibo, nonostante le famiglie di cinghiali pronte ad attaccare. Terra di conquista di cacciatori che lo erano talmente tanto da non levarsi neppure in casa il cappello con la piuma sopra. Ma soprattutto, così almeno la pensavano in paese, casa delle streghe, belle donne che si diceva sul far della sera ballavano nude. Con i giovanotti del posto in perenne ma sempre vana caccia allo spettacolo di quella danza conturbante. Quella della foto, per esempio. «Non era vecchia, e nemmeno brutta, a quarant’anni, ma a nessuno dei paesani sarebbe venuto in mente di prenderla con la forza, lì, tutta sola e lontana da tutti. Già, la temevano, così come la rispettava la muta di cani rinselvatichiti che scorrazzava fra i grandi tronchi del querceto. Nessuno nel bosco la disturbava». Tutto questo è il romanzo ‘La foresta della Caldera’, avventura forse inventata o forse no. Ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro’.

SCOTTATURE DELL'ANIMA

Precisa Tango: «Ad essere vere sono l’atmosfera, la magia, che ho vissuto da bambino, lo sono la vita di alcuni personaggi, la parlata laziale, certificata da un esperto, nonostante la premessa che in casa mi fosse vietato parlare in romanesco. Mio padre era ufficiale dell’Aeronautica, un po’ snob. Di autentico c’è la sua figura, non quello che gli faccio fare nel romanzo. Così come era vero ciò che fanno altri personaggi, allora bambini. Come i primi giochi alla scoperta della sessualità dietro un capanno». Non dice il nome vero del posto, peraltro facile da rintracciare: è sufficiente seguire la statale Braccianese per arrivarci. Fanno, i protagonisti, «cose da bambini come un regolamento di conti con un figlio di boscaioli nel cortile della scuola dove me la son cavata per con onore, oppure i giochini infantili con le bambine. Insomma cose che allora sembravano l’inizio di una nuova vita, cose che sembravano importantissime e che adesso guardiamo con simpatia».


Barbagallo è inviato dal direttore della propria rivista nei luoghi di residenza d’infanzia, in Lazio, a indagare su misteriosi attentati a un cantiere per la costruzione di un parco attrezzato, costruito a spese della vicina incontaminata foresta. Pare che si verifichino intrusioni di cinghiali sabotatori incitati da una strega. L’astio che prova è tanto più incomprensibile visto che non ricorda niente di quel periodo infantile, a seguito di un’amnesia da intervento subito al cervello, per malattia fra l’altro a lui non nota, essendo rimasto orfano da adolescente. Giunto sul posto si rende conto che, indagando sul mistero di quella che ritiene una mistificazione, gli si aprono squarci nei ricordi personali dei quali intuisce che non è stato solo l’intervento ad annullare la sua memoria, ma anche una vera volontà di cancellazione di eventi traumatici e peccaminosi. Fra i rischi per la propria vita e scottature dell’anima la storia va verso un inaspettato epilogo.

L'AEREO DI AGELLO

Tango rende omaggio alle sue due ‘patrie’: quella d’origine e quella dove si è affermato come medico chirurgo, cioè Crema. «Chiamato a risolvere un mistero, Barbagallo ha vissuto una vita che a sua volta per lui è stata un mistero. Se ne era andato via con la madre da questo paese del Lazio per circostanze che non conosceva, è stato operato al cervello, con il risultato di perdere la memoria. La madre muore di un tumore e lui viene accolto in casa per carità cristiana da zii cremaschi. Io sono ospite e cittadino ormai acquisito della città di Crema, che sento mia, e quindi è chiaro che l’ho collocato qui». Tornando al paese, Tango ha vissuto quella che definisce «un’emozione fortissima: visitando la base aerea all’epoca guidata da mio padre a Vigna di Valle, oggi museo dell’Aeronautica, ho trovato l’aereo di Francesco Agello, aviatore cremasco, nel 1934 autore del primato mondiale di velocità su idrovolanti. Un enorme mostro rosso. Mi sono detto: ci siamo scambiati le residenze».

COME DUSTIN HOFFMAN

Come detto, l’inchiesta di Barbagallo si dipana su due filoni. Il primo alla ricerca del proprio passato, che lo porta a capire i motivi che hanno spinto la mamma a portarlo via dalla situazione funerea che c’era in casa. Scopre molto di più di quello che avrebbe voluto e la gente del posto, per amore, cerca di tenerlo lontano dai suoi misteri. Gli dicono di andarsene perché rischia la pelle, come poi avviene davvero». Il secondo livello di indagine ha a che vedere con il bosco e con la sua integrità. «Foresta primigenia popolata da querce e cervi e magica realmente. Ambiente ideale per film di cappa e spada che vi vedevo girare da bambino. Per me era veramente come dice Dustin Hoffman nel film Piccolo grande uomo: mentre gli altri bambini giocavano agli indiani io vivevo con gli indiani. Rumori di spari che arrivavano dalla foresta e poi si mangiava cinghiale. Le streghe fanno parte di quella cultura».

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