L'ANALISI
06 Novembre 2024 - 05:30
CREMONA - Ai più il Gambetto della Regina e l’Attacco indiano del re dicono poco. Si tratta, in verità, di due considerate tra le migliori aperture del bianco in una partita di scacchi. Ma per Raul Montanari possono essere molto di più: una scuola di vita, un breviario delle emozioni, un faro sulla strada della conoscenza di te stesso, suggerimenti per soluzioni inedite per le nostre battaglie quotidiane. Perché «gli scacchi, dicendoti che puoi perdere anche se hai fatto sempre del tuo meglio, non ti insegnano solo a vivere in modo più razionale ma anche a perdonarti e, senza averne l’aria, a volerti bene». Grande intellettuale, illuminante maestro per molti giovani scrittori e a sua volta prolifico autore, è un Montanari che non ti aspetti quello che si legge nella sua ultima fatica, ‘L’amore non è un arrocco’, che contiene nel titolo la missione che si è data, aiutare a ‘capire la vita grazie agli scacchi’.
Professionista mancato della scacchiera («per difetto di talento» per sua stessa ammissione), Montanari ha però maturato la consapevolezza del valore del lato meno evidente degli scacchi, e con questo libro - che non è un romanzo ma neppure un saggio, ricchissimo com’è di aneddoti personali e non solo -, ha deciso di condividere la ‘scoperta’. Lo fa passando da San Francesco a Juneidi al-Baghdad, mistico sufi del IX secolo, da Annibale a Sofocle, da Eugène Ionesco a Oscar Wilde, da Robert Louis Stevenson a Jorge Luis Borges, oltre naturalmente ai grandi campioni dello scacco matto. Lo fa parlando del fatto che prima della meta c’è il viaggio, che la cosa più difficile è vincere quando si è in una posizione vincente o del trucco decisivo per affrontare una situazione complicata (per dirla elencando i titoli di alcuni capitoli).
Necessaria una premessa: non c’è alcun bisogno di conoscere le regole degli scacchi per godere di questo libro ma «basta aver voglia di cercare la profondità attraverso la leggerezza, con uno sguardo innamorato della vita», come precisa l’autore. Che prosegue: «Durante la scrittura, mi sono accorto di un fatto stupefacente, cioè che parlavo molto più di sentimenti ed emozioni di quanto non parlassi dei procedimenti mentali per risolvere problemi». Si aspettava di scrivere un libro che parlasse di intelligenza «e mi sono accorto che parlavo moltissimo di paura, di pensiero magico. Cioè tutte le volte che in realtà non ragioniamo ma ci abbandoniamo a un istinto che ha qualcosa di misterioso; che parlavo moltissimo di idiosincrasie personali, di psicologia se vogliamo, anche un pochino di filosofia personale, esistenziale».
Un piccolissimo esempio. C’è una legge molto singolare negli scacchi secondo cui è meglio giocare con un piano sbagliato che senza nessun piano perché puoi vincere comunque la partita, ma se giochi senza perderai sicuramente. «Cristoforo Colombo, partito con un progetto sbagliato, cioè arrivare alle Indie passando dall’Occidente, è finito per andare a sbattere addirittura contro un continente sconosciuto. Ma quante volte nella nostra vita muovendoci perché abbiamo fatto un piano poi ci fermiamo in un posto che non è la meta prefissata avendo scoperto che è assai più interessante?».
Ciò è molto più importante invecchiando. «Una delle caratteristiche principali dei veleni dell’invecchiare è che si comincia a giocare solo per pareggiare e non più per vincere. Invece a ogni stagione della nostra vita dobbiamo fare piani per vincere le piccole e le grandi battaglie». Un altro modo di dire scacchistico è che ogni mossa del nero pone una domanda al bianco. «Molto spesso lo dimentichiamo. Questo discorso si lega a un altro tema tipicamente scacchistico, quello dell’errore. Chiedersi se si è fatta la mossa giusta è fondamentale negli scacchi così come lo è la presenza del cattivo nei romanzi».
«Se non ci fosse don Rodrigo, ‘I promessi sposi’ non esisterebbe perché loro due si sposerebbero a pagina 10 e alla 15 avrebbero già avuto il primo figlio. Essendoci, per fortuna, don Rodrigo, ecco che nasce quella partita a scacchi che è il romanzo. I nostri errori sono la cosa che ci definisce, che come forse nemmeno i nostri amori possono fare, come diceva George Bernard Shaw. Noi passiamo la vita a ripetere sempre gli stessi errori e allora forse vanno attenuati per quanto è possibile, ma non eliminati perché andremo a toccare una radice di qualcosa che sta profondamente dentro di noi. I nostri errori siamo noi e se tu pensi questo finisci anche per volerti più bene».
Dunque, per dirla parafrasando il titolo di un altro dei 33 capitoli, è una questione di stile: «Vero. Poniamoci la domanda: mi comporto sempre allo stesso modo in tutte le circostanze o cerco di adattarmi alle varie circostanze? La risposta ovvia sembrerebbe la seconda. Non è sempre vero, Nel libro c’è anche un piccolo elogio del rimanere se stessi in tutte le situazioni». Si può dunque farlo affidandosi al proprio intuito o a un ragionamento articolato e complesso che però magari rischia di essere deviante? «I campioni al primo sguardo sulla posizione intuiscono subito quali sono i punti forti e quelli deboli. L’intuito, o se vogliamo l’istinto, è in realtà un modo per mettersi in contatto con il mondo che è ugualmente valido ed efficiente rispetto al ragionamento in quanto nasce dal depositarsi di esperienze del passato. Credo tantissimo alla famosa prima impressione, qualcosa di emotivo che si contrappone quello che sarebbe invece un metodico ragionamento. Sono due facce della stessa medaglia».
Cosa altro ci dicono gli scacchi? «Che l’amore non è un arrocco e il titolo ha proprio questo significato, nasce dall’analisi del modo di giocare di alcuni campioni. Il primo fu Aleksandr Alechin e la sua era la caratteristica dei grandi campioni, che non si concentrano mai su un angolino della scacchiera ma giocano a tutto campo. Quando ero ragazzo uno psicanalista molto famoso, Erich Fromm, ha scritto due libri molto celebri, ‘Avere o essere’ cioè i due modi diversi di stare nel mondo e ‘L’arte di amare’. In quest’ultimo fa un ragionamento che all’epoca mi rimase molto impresso».
«Vale a dire - prosegue - che noi siamo abituati a pensare che l’amore sia trovare la persona giusta e poi arroccarsi, diventare un piccolo esercito di due soldati, io e lei o io e lui, chiudendoci in posizione difensiva. Ma per Fromm è un tipo di amore sbagliato, oggi lo chiameremmo tossico, perché l’amore sano ti spinge ad aprirti al mondo proprio sull’onda della gioia, della sicurezza che ti dà avere conquistato l’amore di una persona tanto preziosa; hai voglia di affrontare sfide grandi e piccole se c’è lei al tuo fianco, ti apri al mondo invece di chiuderti con lei in una capannuccia. Ecco perché l’amore non è un arrocco». Lo dicono gli scacchi.
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