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LA VOCE DI CREMONA

Enrico Galletti: «Si parte, a volte, ma restando ancorati alle proprie radici»

Ha iniziato la sua carriera giornalistica a La Provincia. Ora il 22enne cremonese è speaker di Rtl 102.5. «Che emozione scrivere sul giornale dove tutto è iniziato»

01 Dicembre 2022 - 05:00

CREMONA - La radio è bella perché ti permette di viaggiare. Ma è incredibile quando ti fa sentire a casa. La mia casa, tutte le mattine dal lunedì al giovedì, è lo studio della prima radio d’Italia. Sveglia presto, prestissimo, i quotidiani (che finirò di leggere strada facendo) e gli ultimi ritocchi alla scaletta. Arrivo in redazione alle 5 e mezza. In macchina, andando a Rtl, ascolto il popolo della notte: poliziotti, panettieri, metronotte, guardie giurate. Spesso capita che prendendo il caffè, in uno dei pochi bar aperti a quell’ora, ritrovi la stessa radio, le stesse voci che sentivo poco prima dalla radio dell’auto. Quanta vita, la mattina presto!


Alle 6 c’è la sigla. E a quella non si sgarra. Abbiamo il privilegio – io e i miei colleghi – di dare il buongiorno tutte le mattine a milioni di italiani in viaggio. Una fortuna svegliarsi così, al telefono con le persone che subito dopo il «Buongiorno» iniziano la giornata insieme a noi. E, commentando l’attualità, ci parlano anche un po’ di loro. A volte mettendo in tavola le loro preoccupazioni, le gioie, le paure, le emozioni che li attraversano nel tragitto che fanno in auto verso il lavoro, l’Università, accompagnando i figli a scuola. E c’è sempre, nelle chiacchierate che toccano i temi più stretti dell’attualità e della vita delle persone, una telefonata o un messaggio che mi riporta a casa.


Non dimenticherò mai la settimana in cui scoppiò la pandemia: prima di dare la parola a politici, ministri, opinionisti e virologi, facemmo ciò che facciamo sempre: aprimmo i microfoni agli italiani, ai «Very normal people» all’ascolto, come li chiamiamo noi di Rtl. Quante voci dalla mia provincia, così in ginocchio in quei giorni difficili: medici, pazienti, parenti, amici... E poi i guariti, quelli che raccontavano l’incubo di quelle corsie gremite. Paura, sollievo, ansia, preoccupazione, lacrime, gioia, felicità. Quanti «Ce la faremo»! E poi «Ce l’abbiamo fatta!». E che nodo in gola, sentire quelle voci che parlavano con il mio stesso accento, prima di andare in onda. Era una domenica quando al centralino arrivò la chiamata di una madre di Cremona che chiedeva di poter urlare al mondo la sua angoscia per le sorti del figlio Mattia, 18 anni, in rianimazione al Maggiore con una polmonite bilaterale. In mano un messaggio, ricevuto da lui: «Mamma, mi intubano. Ti voglio bene, devo andare».


Ricordo la faccia di un collega attaccato alla cornetta. Il mio sguardo che incrocia quello del regista: ci capimmo al volo e mandammo la chiamata in diretta a dieci minuti dal nero. C’era il centralino dei messaggi che esplodeva: nei tre minuti in cui quella donna della mia, della nostra, città parlava, di messaggi, ne saranno arrivati a migliaia. Il mio legame con Cremona e i suoi bellissimi paesi si fa vivo in cuffia ogni giorno. Con le sue belle «èèè» aperte, quelle frasi trascinate e inconfondibili. La voce di Marcello, ad esempio, un ascoltatore venuto in onda qualche settimana fa per parlare di politica (era il tema del giorno) che dopo aver chiesto il permesso di cambiare argomento ci ha raccontato la sua impresa ‘folle’: «Sono innamorato di Cristina, innamorato alla follia. E per dimostrarle il mio amore sto andando sotto casa sua a tappezzarle l’auto di post-it colorati, con tanto di dediche, per dirle con un gesto ciò che provo per lei».

E gli ascoltatori che si sono divisi tra chi gli consigliava di non farlo, di mollare, e chi lo invitava ad andare avanti. Tutta l’Italia a quell’ora all’ascolto mobilitata per dare i giusti consigli a Marcello (chiamò persino una psicologa!). Virammo su quell'argomento, eravamo inondati di telefonate. E il giorno dopo altrettante chiamate ci chiedevano di raccontare come fosse andata a finire questa vicenda tenera della nostra città. Piccolezze, direte voi. Se non fosse che quella storia, in giorni appesantiti dall’attualità, è riuscita a unire tutte quelle persone, quegli italiani in viaggio. A restituirci un po’ di normalità.


E poi Mina, i brani più belli, Carlo Cottarelli che parla come noi, gli ascoltatori che: «Ah sì, Cremona: la città delle 3T!», ora diventate quattro grazie a Ugo Tognazzi. Le telefonate sotto Natale quando puntualmente si parla di tradizioni e io racconto dei marubini, prima che almeno cinque o sei ascoltatori mandino la ricetta e altrettanti ristoratori ci invitino ad assaggiare i loro «che sono i migliori!».


Conduco il programma che faceva da sottofondo ai miei viaggi in macchina con papà, quando ogni mattina, prima delle sette, mi accompagnava al treno per andare a scuola, al liceo Manin. C’è un filo rosso con quelle aule che non si romperà mai. E che si rinnova ogni mattina, quando mentre sono in diretta mi capita di scambiarmi WhatsApp con ex professori, compagni di classe, collaboratori scolastici all’ascolto. Mi riempie di felicità ricevere messaggi che arrivano da Cremona. Rispondo con un sorriso grande e con tanta umiltà, ora che sono solo all’inizio di questo percorso cominciato da un sogno che avevo dalla prima A del classico. Aula alla fine del corridoio principale. Terzo banco in fondo a destra.

Tutto è iniziato da una passione che ho provato a coltivare, a partire da quel microfono che mi feci regalare a Santa Lucia dai miei genitori per provare a fare la radio e ad andare in onda in un telegiornale artigianale creato con mia sorella al tavolo della cucina. Che emozione, ora, scrivere su questo giornale, La Provincia di Cremona, lo stesso da cui tutto è cominciato. Venni a citofonare con mia madre, dopo aver insistito a lungo: avevo quattordici anni e al centralinista che rispose al citofono (con una faccia tosta di cui oggi mi vergognerei) dissi: «Salve, vorrei fare il giornalista»… In cameretta a casa dei miei c’è ancora il mio primo articolo appeso al muro. Gennaio 2015, tre mesi dopo quell’esperimento al citofono.


Oggi la mia città è Milano. Si parte, a volte, ma restando ancorati alle proprie radici. Continuo a portare Cremona con me, spero di non smettere di sentire in cuffia quell’accento che mi fa sentire un po’ a casa. In fondo, sentirsi a casa è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. «Anche a Cremona, sono le sei in punto». Microfono acceso. Luce rossa. Cenno del regista. «Buongiorno a tutti». E magari oggi ci colleghiamo pure con lo Zini.

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