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LA GUERRA DI PUTIN

Stazione di Zahony, fra madri e bimbi in fuga dall’orrore

Lo scalo ferroviario è lo snodo per tutte le consegne dei volontari. I disegni dei piccoli profughi in una stanza con pennarelli e giochi

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

20 Marzo 2022 - 14:20

ZAHONY (Ungheria) - I ragazzini con il pollice all’insù, la piccola che gioca con un orsacchiotto di pezza rosa più grande di lei, la sorellina che si nasconde per non farsi fotografare. E quei due occhi grandi, neri, profondi, ma tristissimi di una bambina.
Siamo alla stazione di Zahony. Qui ci sono i profughi in attesa di salire su uno dei pochi treni che si ferma. Sono per lo più donne anziane, mamme con i proprio figli. Madri con i volti scavati, distrutti. Mogli preoccupate: i loro mariti stanno combattendo al di là del confine. La disperazione la tocchi con mano, qui nella piccola stazione piena di volontari. E di cartelli sulle pareti. «Mother child room» è scritto su un foglio sopra una stanza che accoglie le mamme con i loro bambini. In un angolo e stato ritagliato uno spazio per far giocare i bambini: i pennarelli colorati, i pupazzi di peluche e i disegni realizzati dai piccoli che sono scappati dalla guerra. Chi disegna il pesce Nemo, chi altri personaggi dei cartoon. Ti si stringe il cuore.
La stazione è l’unico punto di raccolta degli aiuti umanitari. Qui il gruppo di cremonesi ha lasciato coperte, cibo, frutta, tutto il carico. Dentro, i volontari non si fermano un istante. Fuori, sono state allestite due tende. Nella prima la dolce, sorridente, Lilli distribuisce caramelle, omogeneizzati, banane , dolci per i bambini. In quella accanto, sono stati messi giù tavoloni di legno: c’è chi consuma un pasto caldo, chi si riposa.


«È un’altalena di sensazioni — racconta Luigi Bertolotti —. Abbiamo visto arrivare due treni, sono scesi solo donne e bambini. I volti completamente impauriti, stralunati, accolti da diverse organizzazioni umanitarie. Siamo stati colpiti dalla loro grande dignità. L’impressione è che tutti avessero già una meta, nessuno ha chiesto aiuto, tutti erano diretti ai pullman che li avrebbero portati in varie destinazioni. Noi eravamo pronti a caricare cinque, sei mamme con i propri bambini, ma non ci è stato possibile, non c’è stata l’occasione, tutti sapevano dove andare. Probabilmente siamo capitati, per fortuna, in una delle frontiere più tranquille». Bertolotti sottolinea come il loro viaggio umanitario sia stato «dal punto di vista umano fortemente voluto dal nostro gruppo di amici, al quale si sarebbero voluti accodare molti altri». Un viaggio che «abbiamo voluto fare senza legarci ad alcuna organizzazione né umanitaria, né religiosa, né politica, perché siamo molto più sicuri delle cose che possiamo gestire direttamente».


Ora il rientro a Budapest, oggi si torna in Italia. «Qualora, malauguratamente, la guerra non dovesse finire — conclude Bertolotti — in un futuro viaggio mi piacerebbe portare le mie figlie per far provare loro le emozioni che ho provato io e calarle in una vita diversa da quella alla quale siamo, per fortuna , abituati».

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