L'ANALISI
07 Dicembre 2022 - 05:15
CREMONA - Parla del spettacolo teatrale che ha amato di più , «Io sono Misia», ritratto di Misia Sert, con la regia di Francesco Zecca su testo di Vittorio Cielo, musa ispiratrice di grandi artisti del primo Novecento, nelle cui vesti si è calata, ma Lucrezia Lante della Rovere è come se parlasse di sé stessa, una donna assolutamente e totalmente appassionata, che se individua un obiettivo non ha nessuna remora a cercare di cogliere: «Mi piace accendermi, è come se cercassi la preda, mi piace provare le storie che mi appassionano. Quindi leggo, sfrucuglio, aspetto... e poi una volta che questa ansia si accende e parte, parto pure io». Lucrezia sorride spiegando questo suo lato per niente oscuro nel corso della conversazione con Paolo Gulandris per la videorubrica «Tre minuti un libro» online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it, durante la quale ha parlato di «Apnea, la mia storia», il suo libro autobiografico.

«La foto del matrimonio dei miei genitori è un colpo al cuore. Tutto ha avuto inizio quel giorno. 10 giugno 1964. Dovrei cominciare proprio da lì se avessi il coraggio di scrivere di me», inizia il libro. Lucrezia è un’attrice, una donna bellissima, la figlia della scandalosa Marina Ripa di Meana e del blasonato Alessandro Lante della Rovere. Una donna cui sembra che la vita abbia regalato tutto. Invece se si entra nelle pieghe della sua storia, si scopre un'infanzia difficile dominata da una madre «a piede libero» e un padre ingoiato dai suoi demoni: Lucrezia cresce spostata come una pedina da una casa all’altra e inizia a fare la modella, quasi per gioco. Le apre le porte del cinema il grande Mario Monicelli a soli 19 anni e poi prende vita una carriera dettata dall’istinto e dal coraggio. Cinema, teatro e televisione, nulla le è stato estraneo. Le nascono due gemelle, durante il matrimonio con Giovanni Malagò, attuale presidente del Coni, quando ha appena vent’anni, mentre una madre iperbolica e irrinunciabile segue i suoi passi e la sua vita sentimentale è costellata da grandi amori, come quello con Luca Barbareschi, passioni, abbandoni e ripartite. Lucrezia ascolta sempre e solo il suo cuore.

E scrive una narrazione «sincera», come la definisce lei. «Mi sono anche detta: in fondo ho più di cinquant’anni e forse è anche arrivato il momento di sapere chi sono, di potermi raccontare e di poter verbalizzare le mie storie, le mie esperienze. Sono ancora abbastanza giovane, però ogni tanto mi sembra di avere novant’anni perché ho iniziato tutto talmente presto che forse è stato divertente scrivere la mia storia, anche perché spesso sono stata raccontata dagli altri, o da una madre molto famosa, o dai giornalisti, o da interviste in cui magari non mi riconoscevo. Quindi forse era arrivato il momento in cui mi raccontassi io in prima persona partendo anche da delle suggestioni che ricevo».
Cita «Gli anni» di Annie Ernaux, il cui incipit è «Tutte le immagini scompariranno», e spiega: «La memoria negli anni cambia e c’è il timore, che poi è la mia apnea, quella che dà il titolo al libro, che le cose si dimentichino, che la memoria torni a essere nebulosa, che tra tanti anni torneremo a essere come eravamo da bambini, quindi a raccontare storie». Conosci te stessa, ma anche libera te stessa, se a un certo punto ammette di essere profondamente timida e che quindi la scrittura è stata una specie di autocoscienza, un momento liberatorio. «È vero, sono una persona riservata, molto sentimentale e che si emoziona. Le persone che leggono questo libro mi chiamano e in molti mi dicono che si sono commossi. Ebbene: io stessa mi auto commuovo».
Con gli ingombranti genitori in vita ha avuto un rapporto di amore odio che «si conclude con l’amore, perché essendo ormai adulta, devo avere uno sguardo indulgente nei loro confronti, bisogna vederli pensando che sono stati dei ragazzi come noi, che si sono innamorati e sposati anche loro giovanissimi, per errore, non si conoscevano bene. Li penso ora non non più da figlia, ma da donna adulta, anzi da orfana».

Con Marina Ripa di Meana qualche inciampo c’è stato, lei le ha giocato molti brutti scherzi, che vengono narrati nel libro. «Ne ho messo solo alcuni, avrei potuto raccontarne molti di più, ma avrei scritto Guerra e pace. Ho il terrore di annoiare quindi e quindi ho cercato di dare un ritmo abbastanza incalzante al libro. Mia madre tirava colpi bassissimi non a me ma a tutti, era la sua caratteristica, era più forte di lei era la sua cifra e quindi diciamo è stata la mia palestra». Uno su tutti, quando le regalò un collo di pelliccia per andare alla prima della Scala e lei era fuori a protestare, a seno nudo, proprio contro le pellicce. «L’ho odiata per questo e tante altre volte », scrive, ma poi dopo uno dei tanti periodi di silenzio, ha prevalso la complicità con Marina. Nelle parti importanti della vita di Lucrezia ci sono il lavoro di modella, quello attrice per cinema e tv e poi fondamentalmente quella per il teatro, quest’ultimo sopra ogni altra cosa.

«Il teatro è la mia passione più grande, soprattutto con Francesco Gentileabbiamo fatto tante cose insieme- Tra un mese inizierò le prove dello spettacolo ‘La Divina Sarah’, la storia di Sarah Bernhardt che ha novant’anni e sta per morire, ma vuole restare attaccata a questo mondo, quindi il suo servo la obbliga a rivivere tutte le scene e comprende che l’unico modo per non morire è continuare a recitare. Uno spettacolo molto divertente. Il palcoscenico è galvanizzante». Come suo «logo» di WhatsApp ha scelto una foto molto particolare, con una grande parrucca sdraiata su una super poltrona, in costume coloratissimo.

«È l’immagine dello spettacolo a cui sono più legata, più bello, che mi è rimasto nel cuore ‘Io sono Misia’, che abbiamo fatto con Francesco e io sono su questa poltrona con una parrucca gigante su una poltrona di 4 metri e tutto è fuori scala perché anche questa donna era fuori scala. Ha conosciuto Picasso e tutti i grandissimi artisti dei primi del Novecento, li ha finanziati, anche sposati, li ha amati, li ha usati, li ha mischiati. Sembra che sia stata anche l’amante di Coco Chanel, forse sì forse no. Una donna davvero speciale e quindi l’ho raccontata, una donna appassionata. È stato un bellissimo spettacolo - ribadisce - e quindi è rimasta nel mio cuore».
Se dovessimo dare una sintesi al libro, che cosa può restare alle ragazze che vogliono che intendono seguire un loro sogno e vivere fino in fondo? «Diciamo che è un libro di formazione, di crescita, di ricerca di identità. Quindi sì, forse lo consiglierei a delle ragazze che hanno quell’inquietudine dei vent’anni. Quel sentimento che non ti dà pace. E se dovessi riassumere tutto in uno slogan, direi, come diceva a me mamma Marina: mettiti un carciofo in testa e vivi la tua vita».
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