CALCIO
‘African Psycho’ del congolese Mabanckou
15 Dicembre 2015 - 17:44
Alain Mabanckou
‘African psycho’
66thand2nd
160 pagine, € 17.90
Un serial killer «perdente, che sbaglia tutto, che commette un errore dopo l’altro». L’opposto di quella perfezione che troviamo in ‘American Psycho’ di Bret Easton Ellis accade nel nuovo romanzo dello scrittore congolese Alain Mabanckou che non a caso si chiama ‘African psycho’. Basso, con la testa a rettangolo, il naso grosso, gli occhi piccoli e la pelle nerissima, Gregoire Nakobomayo aspira ad essere un assassino seriale, ma la strada del crimine non fa per lui. «Ho voluto creare un serial killer che non facesse tanta paura. Sono rimasto impressionato dal fatto che in tutte le storie americane i serial killer sono tutti perfetti», spiega Mabanckou, classe 1966, che vive fra Parigi e Los Angeles dove insegna letteratura francofona alla Ucla e si veste nel cosiddetto stile dei Sapeur, cioè di quel movimento nato in Congo che voleva dimostrare al mondo che anche i congolesi sanno essere alla moda. «Nessuno in questo momento, nel mondo, è sicuro. L’Isis è diventato uno dei più grossi pericoli al mondo. La società sta diventando multiculturale e l’Isis colpisce perché non vuole che questo accada. La Francia sta pagando per non aver saputo gestire la politica africana, nel Maghreb», dice lo scrittore che nel giorno degli attentati era a Parigi ed è stato nominato dalla rivista francese ‘Jeune Afrique’ una delle cinquanta personalità africane più influenti al mondo. La vittoria del Fronte Nazionale di Marine Le Pen alle regionali in Francia «è un problema di tutta l’Europa ed è legata alla cascata di flussi di immigrati che fa cadere nella paura. La spinta verso i partiti dell’estrema destra è simile a quello che è successo con il nazismo, quando si votava Hitler per la paura degli ebrei, dei comunisti», continua. L’ispirazione per ‘African Psycho’ viene in realtà da una vecchia leggenda congolese: «Quando eravamo piccoli ci dicevamo che se non andavamo a dormire presto sarebbe arrivato Angoualima e ci avrebbe uccisi tutti. Sarebbe venuto da Kinshasa (Congo belga) a Brazzaville (piccolo Congo). Gli omicidi che accadevano si raccontava fossero stati commessi da lui. Tutti conoscono questa storia in Congo e ho deciso di inventarne una mia da questa leggenda. E la rivincita è stata creare un serial killer che non facesse terrore». Nel romanzo Angoualima è infatti lo spietato pluriomicida che Gregoire vuole imitare, il suo idolo. Ormai è morto, ma il serial killer che colleziona un insuccesso dietro l’altro va in pellegrinaggio alla sua tomba e lo incalza di domande improbabili. Gregoire aspira al successo mediatico, a vedere il suo nome sui giornali, ma anche questo è difficile da ottenere.«Vuole — spiega lo scrittore — diventare famoso e non c’è nulla da fare, se lo vuoi essere devi passare per la stampa. Anche nei film ci sono scene in cui i serial killer ritagliano gli articoli, li collezionano. C’è un rapporto maniacale con i media». Più che Bret Easton Ellis a influenzare l’autore congolese sono state le letture di Camus e Dostoevskij, «in particolare ‘Lo straniero’ e ‘Delitto e castigo’. Camus mi piace perché ha una scrittura perfetta e Dostoevskij per la grandezza della visione e la capacità di creare mondi interi», dice lo scrittore che dal prossimo marzo insegnerà anche al College de France letteratura africana.
Mauretta Capuano
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