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CALCIO SERIE A

Cremonese: Lautaro, Pulisic e Bonazzoli

L'attaccante grigiorosso: 'Basta pensare al passato, adesso ho un sogno'

Fabrizio Barbieri

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fbarbieri@laprovinciacr.it

10 Dicembre 2025 - 11:36

Cremonese: Lautaro, Pulisic e Bonazzoli

Federico Bonazzoli

CREMONA - Il destino di Federico Bonazzoli sembra scritto dentro a una di quelle storie in cui la sorte si diverte a tracciare curve ampie, deviazioni improvvise, ritorni inattesi. A 28 anni, nel pieno di un'età in cui un attaccante dovrebbe aver già mostrato tutto o quasi, lui sorprende ancora. Sorprende perché è tornato dove forse avrebbe dovuto essere fin dall'inizio: vicino a casa, immerso in un ambiente che lo accoglie, lo comprende e lo valorizza. È nato a Manerbio, a pochi chilometri da Cremona, ed è come se questo ritorno sia una carezza del calcio, un invito a ripartire da radici che non si possono recidere. La Cremonese lo ha abbracciato in Serie B e lui, con una maturità nuova e luminosa, un anno dopo sta ripagando la fiducia con una stagione che assomiglia a una rinascita.

Oggi Bonazzoli non è solo un giocatore che segna: è un uomo in pieno possesso dei suoi strumenti, uno che ha messo insieme le parti disperse di un percorso spesso vissuto tra attese infinite e promesse sospese. Lo si capisce guardando la classifica marcatori della Serie A: in mezzo a colossi come Pulisic e Lautaro Martínez, entrambi a quota sette e subito dietro Calhanoglu e Orsolini fermi a sei, eccone uno che in molti davano ormai per perso nelle strade secondarie del calcio. Federico, con cinque gol come Leao, Yildiz e Nico Paz, è l'unico attaccante vero immediatamente alle spalle di Lautaro (e con un solo rigore). «Sicuramente fa molto piacere essere vicino a certi campioni, ma solo perché ti fa capire di essere sulla strada giusta. In realtà, però, non mi pongo obiettivi personali particolari. A contare veramente è l'obiettivo di tutti: la salvezza. Faremo di tutto per ottenerla e confermare l'attuale posizione sarebbe un sogno».

Un'immagine che da sola racconta più di qualsiasi retorica. Lui, però, non vuole parlare di rivincite. «Non credo si possa parlare di rivincita. Ogni stagione è diversa dall'altra, la costante è il mio modo di approcciare il lavoro: cerco sempre di fare le cose al meglio e di mettere a disposizione della squadra quelle che sono le mie caratteristiche e le mie qualità». Parole che sanno di calma, di consapevolezza, di un equilibrio conquistato.

Eppure, mentre i numeri parlano, ci sono i dettagli che incantano. Come il suo modo di esultare. Quando segna, Federico porta in avanti le braccia e lascia partire la mitraglia: un gesto che rimanda agli anni Novanta, a Batistuta, alla potenza di un calcio che oggi sembra lontano e mitico. Ma non nasce dalla nostalgia: «È nata quasi per scherzo. Nel tempo libero mi rilasso con i videogiochi e quell'esultanza si rifà a uno dei miei preferiti».

Eppure quella raffica di colpi immaginari ha un potere evocativo irresistibile, unisce passato e presente, racconta un ragazzo cresciuto a pane, pallone e sogni, che oggi sta finalmente tornando al centro della scena.

È sempre stato così Bonazzoli: un predestinato. Chi lo ha visto alla Primavera dell'Inter lo ricorda come uno dei talenti più puri della sua generazione, un ragazzo capace di segnare gol impossibili, di usare il corpo e la tecnica come un giocatore già fatto. Ma tra il dire e il fare, tra la promessa e la maturità, si è aperto un corridoio lungo dieci anni. Prestiti, parentesi, lampi, silenzi. Una carriera vissuta in quel limbo che inghiotte chi è forte ma non abbastanza fortunato, chi è pronto a esplodere ma vede la miccia spegnersi sempre un attimo prima. «Sono abituato a questo tipo di considerazioni. I giudizi spesso sono condizionati da come vanno le cose, dai risultati che possono arrivare o meno. Io preferisco restare concentrato sul lavoro e andare avanti per la mia strada», dice oggi. E lo fa senza amarezza: come se avesse capito che ogni percorso ha il suo tempo, e che a volte serve aspettare più degli altri.

Guardarlo giocare in questa stagione è però un'altra storia. Bonazzoli non è la punta statica, quella che vive dentro l'area di rigore e aspetta la palla buona. È un attaccante mobile, capace di allargarsi, legare il gioco, accompagnare l'azione, dialogare con i compagni. Ha una generosità tattica che pochi gli riconoscevano, e una qualità tecnica che oggi brilla anche perché ha trovato una struttura che la esalta. Le rovesciate, ad esempio: la sua specialità da sempre. E quest'anno ne ha già regalate due da album di figurine. Una a San Siro contro il Milan, nello stadio dove tutto sembra più grande, più epico. L'altra a Marassi contro il Genoa, con quel profumo di calcio inglese che lo stadio porta in sé. Due acrobazie che dicono ciò che Federico è sempre stato: uno capace di gesti spettacolari, uno che vede il pallone in modo diverso dagli altri. «Le ho sempre fatte, fin da bambino».

Il quinto gol della stagione, segnato su rigore contro il Lecce, è stato uno dei più pesanti. Un gol che ha scritto una vittoria importante e che ha fatto esplodere lo Zini. «Una bella vittoria ottenuta davanti alla nostra gente. Siamo un gruppo di ragazzi forti e straordinari. Sono contento, spero che i miei gol portino sempre punti alla squadra», ha detto e nella sua voce si leggeva tutta la gratitudine di chi sente di essersi finalmente incastrato al posto giusto.

Un ruolo importante in questa metamorfosi lo ha avuto anche l'incontro con Jamie Vardy. Sì, proprio lui: il simbolo del Leicester dei miracoli, l'attaccante che ha reso possibile l'impossibile. L'uomo che a 38 anni è ancora un riferimento. Tra i due è nata un'intesa immediata, quasi naturale. «Per me ogni partita e ogni allenamento sono un'occasione per lavorare con un ragazzo straordinario, che ci sta dando una mano incredibile. Cerco di rendergli la partita più facile. Sono al suo servizio così come a quello della squadra». Una dichiarazione che dice tanto: dice rispetto, dice ammirazione, dice la voglia di imparare. Ma dice anche il desiderio di dare, non solo di ricevere.

Cremona è diventata il suo posto nel mondo. «Qui mi sto trovando bene. L'ambiente mi ha accolto splendidamente già nella passata stagione culminata con la promozione. Siamo un gruppo che ha dei valori, fuori e dentro il campo. Con il calore della gente possiamo esprimerci al meglio». E quando un calciatore ritrova un ambiente che lo fa stare bene, tutto diventa più semplice: il corpo risponde, la mente si scioglie, la fiducia cresce. E i gol arrivano.

Oggi Bonazzoli è un uomo nuovo. Non vuole dimostrare nulla a chi lo aveva già messo da parte, non cerca vendette, non rincorre l'ombra del predestinato che era stato. Vuole solo vivere il suo presente, un presente che profuma di maturità e che lo mette al centro di un percorso che sente finalmente suo. Non una rivincita, dunque, ma una storia che si è rimessa in moto. Una storia che non ha bisogno di titoli altisonanti. Gli basta una rovesciata, una mitraglia verso il cielo, una corsa sotto la curva. E a volte la bellezza del calcio sta proprio qui: nei cerchi che si chiudono, nei ritorni, nei talenti che trovano un luogo in cui fiorire davvero. Bonazzoli ci sta riuscendo. A pochi passi da casa. Dove forse il destino lo aveva sempre voluto.

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