L'ANALISI
01 Ottobre 2025 - 19:13
Francesco ‘Keki’ Cadeddu fa un cenno d’intesa al commissario tecnico Gianlorenzo Blengini della Bulgaria
SOFIA - La pallavolo italiana è, contemporaneamente, detentrice dei titoli mondiali al maschile ed al femminile, impresa riuscita nella storia solo all’Unione Sovietica nel 1960. L’età dell’oro del volley azzurro rende orgogliosi non solo gli appassionati della disciplina ma tutti gli italiani che hanno seguito e sostenuto le imprese delle ragazze di Velasco e dei ragazzi di De Giorgi. Tranne uno, si fa per dire. Già, perchè c’è un italiano, meglio ancora, un cremasco, che di questa magnifica impresa non può gioire fino in fondo. È Francesco ‘Keki’ Cadeddu, viceallenatore della nazionale bulgara sconfitta proprio in finale da Micheletto e compagni. «Il momento più difficile di una partita contro l’Italia è l’inno – attacca il tecnico cremasco – perchè quello ti viene proprio da cantarlo a squarciagola, come ogni italiano. Ho giocato due partite importanti con l’Italia da viceallenatore e le ho perse, la semifinale mondiale Under 21 e quella di domenica scorsa».
Che impressione le ha fatto la nazionale azzurra?
«Dagli ottavi di finale in poi hanno alzato esponenzialmente il livello della battuta, quello dell’attacco di palla alta e hanno lavorato duramente in difesa. Chiaro, con la battuta che entra è più facile toccare e difendere, ma la loro abnegazione e la voglia di sbucciarsi le ginocchia era la testimonianza di quanto volessero la vittoria».
Il vostro è, però, un argento che sa di oro. Siete stati la sorpresa del mondiale. Amarezza per la sconfitta in finale o orgoglio, a mente fredda?
«Nell’immediato prevale la delusione perchè perdere fa sempre male. Solo poche ore dopo però si è fatto strada l’orgoglio per questa impresa straordinaria. L’argento è la punta dell’iceberg di un lavoro di cinque mesi nei quali nessuno, staff e giocatori, ha mai mollato un centimetro in ogni allenamento».
Qual è stato il vostro segreto?
«Mi ripeto, assolutamente il lavoro. Il gruppo ha seguito le idee un po’ innovative del ct Blengini, ha creduto fortemente in ciò che stava facendo e non si è mai risparmiato per coltivarle fino in fondo».
Il suo palmarès è importante eppure è ormai lontano dall’Italia da qualche anno. Non c’è l’idea di tornare?
«Diciamo che non dipende solo da me. Da un lato devo dire che in Bulgaria stiamo benissimo. Ci siamo trasferiti tre anni fa con mia moglie (Jole Ruzzini, ex libero di serie A) e con nostro figlio che ormai parla bulgaro e sta bene. A Burgas, dove viviamo, la vita assomiglia un po’ a quella italiana ma costa meno e ci sono ampi spazi per i bambini. Il doppio incarico vincolato alla Bulgaria, poi, con penale in caso di incarico in club stranieri limita questa scelta. Diciamo però che non sono arrivate offerte irrinunciabili per ora».
È partito da Crema ed è arrivato a un gradino dall’oro mondiale. Se lo sarebbe immaginato?
«Sono contentissimo delle esperienze che ho fatto, del percorso, ormai lungo trent’anni, che mi ha portato a vivere tanti bei momenti sino ad arrivare a questo mondiale davvero incredibile. Se posso permettermi, l’unica punta di amarezza che un po’ mi accompagna talvolta è vedere che in patria, ma anche nella mia provincia d’origine, mi sia poco riconosciuto questo successo. Da vice allenatore o preparatore ho vinto scudetti, coppe Italia, supercoppe oltre a tanti titoli all’estero ma percepisco che molti, anche nell’ambiente, nemmeno sanno chi sono. La Lombardia è un po’ Milano-centrica, paradossalmente ho più riconoscimenti in Sardegna, terra d’origine di mia moglie».
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