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L'INTERVISTA

Mariuccia Favalli: «I miei due fratelli che amavano la vita»

A 60 anni di distanza, la sorella ripercorre i momenti dell’incidente a Tornata. E parla anche di Juve, di quei due gol decisivi per lo scudetto. E di Cremonese

Felice Staboli

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fstaboli@laprovinciacr.it

09 Aprile 2025 - 05:25

Mariuccia Favalli: «I miei due fratelli che amavano la vita»

Mariuccia, Armanno ed Erminio Favalli

CREMONA - La «850» del calciatore, dopo una lunga frenata, ha sbandato proprio mentre sopraggiungeva un autotreno, vicino a Tornata. Il giovane, sbalzato sull’asfalto, è morto sul colpo. Lascia la moglie e una bimba in tenerissima età. Era cresciuto nella Cremonese, aveva giocato nel Brescia e nel Foggia. L’arrivo del fratello Erminio che era a Roma con l’Inter.

Il giornale La Provincia di venerdì 11 giugno 1965 raccontava così, nel sommario, la notizia riportata a 9 colonne: Morto a 26 anni Armanno Favalli. Una disgrazia che ha segnato la vita anche di Erminio Favalli, il fratello a cui è dedicata la curva sud dello stadio Zini. Una vicenda che ha ferito nel profondo dell’animo, naturalmente, anche la sorella, Mariuccia, 88 anni. Ha sempre portato con orgoglio il ricordo di entrambi, un affetto speciale verso il primo, classe 1939; un amore incondizionato verso il secondo, Erminio, cinque anni più giovane. Lei ha sempre seguito la Cremonese, conosciutissima anche alla Bissolati («mi è sempre piaciuto giocare anche a carte, è uno dei posti della mia vita»), da un po’ segue le vicende grigiorosse lontano dalla tribuna. Ma ogni volta che la Cremonese scende in campo, si informa e vuol sapere come è andata, per filo e per segno. Come ha sempre fatto.

Mariuccia Favalli, è un po’ che non va allo Zini.
«Solo fisicamente, perché con la testa e con il cuore ci sono sempre, è come se fossi presente ogni partita, come ho sempre fatto tutta la vita, né più né meno».


Armanno ed Erminio, chi sono stati i suoi fratelli?
«Veniamo da una famiglia semplice, zona San Bernardo, a Cremona. Armanno era il più buono, un pezzo di pane. Erminio più scaltro, funambolico, estroso».

Il destino non è stato tenero con Armanno.
«E neanche con la sua famiglia né con la mia. Mi ricordo tutto. Armanno giocava nel Foggia, tornava a casa, aveva deciso di farsi il viaggio in 850. Allora le strade non erano come adesso. Era il giugno del ‘65».

Che cosa accadde?
«Stava ormai arrivando a Cremona, in piena notte. A Tornata, vicino a Calvatone, la sua Fiat 850 si schianta contro una autocisterna carica di triellina. È morto così».

Ai funerali c’era tutta la città.
«Sì, ricordo il dolore straziante dei miei genitori, Armanno era un ragazzo d’oro».

Angelo Moratti, presidente dell’Inter, era in buoni rapporti col Foggia e girò ai pugliesi il fratello, Erminio.
«Erminio era arrivato all'Inter dalla Cremonese nell'estate 1964. Anche lui andò al Foggia, si vede che era destino».

E lì Erminio cominciò a spiccare il volo.
«Lanciai Favalli - disse Rubino, l’allenatore del Foggia – solo perché se lo meritava. Aveva estro, tecnica e velocità».

Nel 1967 l’arrivo alla Juve.
«Lo aveva voluto Heriberto Herrera. Io ero interista, ma per vedere mio fratello seguivo la Juve».

Erminio citava spesso l’aneddoto dei primi soldi che portò a casa alla mamma. Com’era esattamente?
«Sì, lui lo raccontava spesso».

Com’era la storia?
«Voleva fare una sorpresa a nostra mamma. E così i primi soldi guadagnati li portò a casa e li appese con le mollette al filo, come se stendesse il bucato. Invece erano banconote».

E poi?
«Quando mia mamma rientrò, si prese un colpo, quasi svenne. Cominciò a urlare, spaventata. Pensava che avesse fatto una rapina. Ecco, Erminio era così. Lo è sempre stato».

Quell’anno segnò due gol decisivi.
«Furono anche gli unici, ma diedero lo scudetto alla Juve. Il primo a Napoli, contro Altafini. Un gran gol, nel fango, veloce e potente come era lui».

E l’altro?
«Beh, lo sanno tutti, decise lo scontro diretto con l’Inter. Era il 7 maggio, mi ricordo ancora. Un momento che ha segnato a lungo la sua carriera e anche la sua vita. Un gol grande, come uno scudetto, appunto».

Da interista le spiaceva un po’?
«No. Anzi sì. Sì, glielo avevo anche detto. Lui rideva, si metteva il pollice sul naso e mi faceva una smorfia».

Poi gli anni a Palermo.
«Palermo negli anni ‘70 era qualcosa di speciale. Lascio immaginare. Lui sapeva farsi voler bene ovunque. Anche adesso in molti se lo ricordano, come giocatore e come dirigente».

Anche a Cremona.
«Dalla Cremonese ha avuto molto, credo che abbia anche dato molto, anzi, ne sono certa».

È morto nel 2008, una mattina uggiosa.
«Non riuscivo a crederci. Anzi: se ci penso, non ci riesco nemmeno adesso. Non è passato un solo giorno che non abbia pensato almeno una volta ai miei fratelli, al dolore dei miei genitori quando è morto Armanno. E anche al sorriso di Erminio, alla sua capacità di affrontare la vita con grande rispetto ma senza mai averne timore. Di Armanno porto sempre dentro, in fondo al cuore, la bontà, più grande persino del destino che se l’è portato via giovanissimo».

Anche lei ha sempre voluto bene ai grigiorossi.
«Certo, sempre. Un giorno sono stata al centro Arvedi, in via Postumia. Volevo solo salutare, vedere com’è. Mi hanno salutata tutti. Poi è arrivato il direttore generale Armenia e mi ha detto: lei qui deve sentirsi come a casa sua. L’ho ringraziato, lo ringrazio anche adesso, perché mi ha fatto davvero piacere sentirmi dire quelle parole. Lo pensavo prima e lo penso anche oggi: forza Cremonese».

Le mancano i suoi fratelli?
«Sì. Tantissimo. Ancora. E sempre».

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