L'ANALISI
19 Marzo 2025 - 05:20
BORGOSATOLLO (BRESCIA) - Dieci anni fa ha chiuso la carriera, si è dedicato un po’ al settore giovanile del suo paese, Borgosatollo, provincia di Brescia. Di fatto ha deciso di staccare. La moglie Letizia, due figlie, Giulia e Francesca, da pochi mesi ha perso la mamma. Si è tolto molte soddisfazioni. Ha solo un rammarico e anche un sogno.
Mario Montorfano, ha visto la Cremonese a Palermo.
«Sì, bravissimi».
Come andrà a finire?
«La squadra è forte, con un grande potenziale, andranno ai playoff. Forza».
Che cosa fa adesso?
«Il pensionato. Ho smesso di allenare nel 2015. Da allora ho chiuso con il calcio e me ne sto in pensione».
Senza rimpianti?
«In quella stagione le cose non sono andate bene per me, ho molto sofferto. Da allora ho preferito fermarmi, non volevo più stare male per il calcio».
Qualcosa in sospeso?
«Non ho recriminazioni. Forse avrei potuto anche fare di più, ma non mi sono mai tirato indietro. Ho allenato la Cremonese in tre periodi diversi, come Mondonico. Va beh, lui era un grandissimo, lo so».
Ha allenato anche in momenti particolari.
«All’inizio sì. La Cremonese era in C2, anno 2001. In estate non si sapeva se la squadra sarebbe stata iscritta al campionato, ci fu quella sorta di colletta. Ci siamo salvati con due giornate di anticipo, ho fatto esordire 15 ragazzi della mia Berretti. Un grande ricordo. Poi, cambiò tutto e cambiarono anche me, avevo 41 anni, poteva andare diversamente ma va bene così».
Anche perché in panchina poi ci è tornato.
«Sì, appunto, due volte. Allenare la prima squadra, la mia squadra di sempre, non è stato uno scherzo».
No, anzi.
«Ho cominciato a frequentare lo Zini che non c’erano neanche le curve, quando ci allenavamo e la palla usciva, bisognava andare a recuperala fin contro il muraglione. Io andavo a vedere Cesini, Prandelli, Finardi, quella squadra lì. Poi ho vissuto anni d’oro, in serie A, non potevo chiedere di più. Sì, sono stato fortunato».
In grigiorosso a Cremona ha passato una vita.
«34 anni, un onore e un piacere. Era già stato bello giocare nel settore giovanile, figuriamoci tutto il resto».
Cosa vuol dire sentirsi una bandiera?
«In realtà mi sono sempre sentito una sorta di operaio specializzato, ho giocato con artisti come Chiorri, ho avuto anche molti infortuni. Credo che abbiano apprezzato le mie qualità: serietà, impegno, determinazione. Ho smesso di giocare 30 anni fa, ma sento ancora la stima di molte persone ogni volta che vengo a Cremona».
Non è mai stato un personaggio, però.
«Mondonico ci diceva una cosa: prima siate protagonisti, poi se proprio e si piace potrete anche essere personaggi. Guai a fare il contrario. Aveva ragione lui, naturalmente».
Che rapporto c’era con la città?
«Ero un pendolare, come molti altri di quel gruppo del resto. Non vivevo in città, ogni giorno viaggiavo, avanti e indietro in auto da casa mia».
Non era comodissimo.
«Ma allora non c’erano problemi. C’è un aneddoto che ricordo: quando arrivò Burgnich, in serie A, chiese a Favalli che i fuori sede tipo me prendessero casa in città. La cosa non ci andava giù, lo spiegammo al mister, Erminio mediò e noi continuammo a fare i pendolari. Eravamo così».
È sempre stato schivo.
«Certo, adesso però quando mi chiamano i tifosi per qualche iniziativa, rispondo sempre presente, ci tengo».
Di chi si ricorda?
«Di tutti, anche di Bigio Rossi, Rivetti, Bettoli, il dottor Anselmi. Dicevano che eravamo pane e salame, ma non era del tutto vero, c’era anche grande professionalità».
E per il futuro? Cosa si aspetta?
«Spero di diventare nonno».
Non è cosa da poco.
«Mi auguro di vivere sempre con grande curiosità, di riuscire a stupirmi per ciò che la vita ti regala. Le cose cambiano a seconda delle tue prospettive. So di avere avuto un grande privilegio».
Riesce ad essere ancora così?
«Quando mi ritrovo con gli amici della vecchia guardia, mi accorgo che gli anni passano, lo spirito però rimane lo stesso. Ci sentiamo ragazzini, fa bene all’animo».
Che cosa la fa sentire bene?
«La mia famiglia. Mi sono sposato nel 1987, annata speciale. L’anno del Pisa e poi degli spareggi, persi. Eravamo stanchi. Mi sono sposato il 27 giugno. Per fortuna in calendario c’era Cesena-Lecce, se no avrei dovuto rinviare il matrimonio.... E poi una cosa in particolare».
Quale?
«In 20 anni ho visto e allenato tanti ragazzi. Quando mi incontrano e mi salutano con affetto mi fa piacere e mi dico: vuol dire che hai seminato qualcosa».
Se la immaginava una carriera così?
«È stato tutto molto bello, compresi gli anni in C, fondamentali per crescere, maturare e trovare anche spazio».
Una sera da ragazzino ha marcato anche un certo Bettega.
«Amichevole estiva, nel ‘79. Arriva la Juve allo Zini, una Juve fortissima. Ero giovanissimo. Bettega mi fece un gol di testa con uno stacco dei suoi, pazzesco. Ho capito cosa volesse dire essere ad alto livello».
Come andò l’amichevole?
«7 a 1, mi ricordo tutto».
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