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PIZZUL E IL LEGAME CON CREMONA

Ciao Bruno, quasi tutto molto bello

Un bravo artigiano della parola, mai banale e mai iperbolico. Aveva un cuore grande, molto granata e anche un po’ grigiorosso

Giovanni Ratti

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redazione@laprovincia.it

06 Marzo 2025 - 10:47

Ciao Bruno, quasi tutto molto bello

CREMONA - Di poche cose sono sicuro, ma una di quelle poche è che Bruno Pizzul non ha mai chiamato ‘scarpini’ le scarpe da calcio. Non gli sarebbe mai venuto in mente, quando lo sentiva dire dagli esimi colleghi di adesso scommetto che faceva una faccia che diceva tutto senza bisogno di dire niente, che non era da lui. Nel suo calcio, che poi è anche il mio calcio, le scarpe sono scarpe e gli scarpini li calza semmai una ballerina, i palloni sono preziosi ma non si comprano all’asta perché qualcuno ci ha fatto gol, le squadre hanno una maglia e non tante di quelle maglie di tanti di quei colori che ad aprire un armadietto dello spogliatoio sembra di aprire l’armadio di una soubrette.

Il saluto della Cremonese

Parlo al presente anche se è un calcio già tramontato. Adesso è tramontato anche lui, Bruno Pizzul anzi Brunopizzul tutto d’un fiato come si conviene a chi entra nella vulgata popolare. E adesso chi ama il calcio si sente ancora un po’ più solo, come quando muore una vecchia gloria, di quelle di cui si incollavano le figurine sull’album con la coccoina. Anche lui è una vecchia gloria, anche perché al pallone ci ha giocato sul serio con quella sua mole e quella sua aria da gigante buono, Cormonese in maglia grigiorossa e poi in giro per l’Italia isole comprese, ricordo sulla Provincia quella foto in cui Omar Sivori sembra sbilanciato dal solo spostamento d’aria di quell’armadio che lo insegue, fino all’infortunio che gli è costato la carriera perché allora per un menisco poteva anche essere finita.

Dalla sua prima squadra che le manca una vocale per essere la nostra e comunque gemella nei colori eretici, alle serate a Straconcolo a cui lo trascinava Carlo Sassi, Brunopizzul da noi si sentiva un po’ a casa perché provinciali si nasce, e c’è un gusto speciale quando un provinciale finisce per emergere. La sua ricetta era semplice come un sorriso: naturalezza semplicità schiettezza misura, e una robusta dose di cultura che veniva a galla senza bisogno di sbandierarla.

L'intervista a Oreste Perri


Teneva all’Udinese e al Toro perché quelli della sua generazione a qualunque squadra tenessero tenevano un po’ anche al Toro, compreso mio papà che era bianconero ma in viaggio di nozze prima che a Venezia portò mia mamma a Superga. Non aveva la patente e questo se permetti me lo ha sempre fatto sentire un po’ vicino; in fondo quella di non guidare è una decisione altruistica, a tutti piace guidare la macchina, perché togliere agli altri un pezzetto di questo piacere?


Sarebbe stato bello se fra le sue telecronache ci fosse stata anche Wembley, la nostra Wembley, che invece toccò a Marco Civoli. Quella Cremonese di Gigi Simoni era un po’ come lui, una provinciale di successo, giocava un calcio bello e rotondo, quasi su misura per il suo modo di raccontare il gioco, nel quale sembrava rigirare in bocca le azioni migliori come si fa con un sorso di Tocai, ‘tutto molto bello’ diceva in quei casi, con il compiacimento di chi condivide un momento di piacere estetico.

Al Caffè Letterario di Crema


In sedici anni di telecronache non si è fatto mancare niente, le vittorie da leggenda e le leggendarie sconfitte, anche lui come Carosio e Martellini ha avuto i suoi Mondiali (la vittoria però gli volò via con quel rigore di Baggio), anche lui ha avuto la sua Corea, però quella del Sud. Ma vittorie e sconfitte le possono raccontare tutti, un po’ meglio o un po’ peggio; la notte dell’Heysel, invece, c’è da ringraziare il caso che l’ha affidata a lui, quella telecronaca rimane il suo tragico capolavoro.


Ho già letto in alcuni ricordi comparsi in rete le parole con cui disse addio a Gianluca Vialli. Con modestia non fasulla ci si metteva anche lui, fra quelli ‘non all’altezza della sua eredità’, lui che era fra i pochissimi che invece lo erano. Solo un uomo di autentico valore avrebbe potuto trovare quelle parole che gli ho onestamente invidiato, soprattutto per la statura umana che sottintendevano.
Non era una mitraglietta, sapeva che le parole hanno un peso e le sapeva pesare con l’occhio del fruttivendolo che gli chiedi sei etti e mezzo di cornetti e lui li pesa sulla bilancia solo per far vedere anche a te che il peso è esattamente quello.

Al premio Zanetti di Vescovato

Grande artigiano della parola, e lo dico con l’ammirazione che tributo a chi sa fare il suo mestiere con quella precisione e quell’estro che insieme portano l’artigiano ai confini con l’arte, e a volte anche un passo oltre il confine. Avverbi e aggettivi, toni e accenti, tutto piallato fresato limato intagliato al momento con pacata maestria, con una sicurezza non intidimidita dalla irrimediabilità della parola spesa in diretta. Le emozioni trasmesse senza farne trionfi o tragedie, tutto della misura giusta. Un lessico mai banale e mai gratuito, che aggiungeva senza sovrapporsi, un vero valore aggiunto all’azione.

Scommetto che avrebbe saputo anche riempire quei minuti di vuoto che adesso sgonfiano il ritmo delle partite in attesa che il Sacro Var disponga dei destini umani scovando il millimetrico fuorigioco, l’impercettibile sfioramento di pollice, tutto quello che serve per sottrarre il calcio all’umano e consegnarlo al virtuale. Scommetto (ma quanto scommetto oggi?) che sarebbe stato d’accordo se dico che è meglio una partita con un errore o due di quelli che fanno notizia che una partita arbitrata male, come sono quasi tutte le partite di adesso, dirette da arbitri disabituati a prendersi la responsabilità delle decisioni.

Pizzul mentre attacca Sivori

Quello dei calciattori con due ti, dei commedianti in braghe corte tatuati come fiocinieri maori non è più il mio calcio e non era più il suo, anche se lui era troppo signore per dirlo. Per fortuna nella vita ci sono anche altre cose, anche nella vita di chi come lui ha dedicato al calcio tanta parte della sua vita professionale. Brunopizzul dal calcio ha preso tanto e al calcio ha dato anche di più. Trasfusioni di umanità e competenza, che allora hanno fatto bene e adesso non sarebbero di moda. Ognuno è figlio del suo tempo, quello di Brunopizzul rimane un tempo molto bello, anche adesso che è scaduto.

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