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CREMA: IL PERSONAGGIO

Il calcio secondo Venturati: «Impariamo dal ghepardo»

Serata molto interessante con il preparatore atletico partito dal Pergo e arrivato fino in Nazionale: «È giusto allenarsi al mattino, il problema è come gestire le altre 22 ore. Nel futuro in campo fino a 45 anni»

Dario Dolci

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22 Marzo 2024 - 08:00

Il calcio secondo Venturati: «Impariamo dal ghepardo»

CREMA - «Quelli che credono che il calcio si giochi con i piedi sono gli stessi che credono che gli scacchi si giochino con le mani». Ha spaziato negli ambiti più svariati e più impensabili la relazione che Giambattista Venturati, 56enne preparatore atletico di calcio e oggi docente alla scuola per allenatori di Coverciano, ha tenuto nella sala Pietro da Cemmo del museo civico a una nutrita platea di addetti ai lavori. Citando il suo libro ‘Il calcio e la triade del ghepardo’, scritto a quattro mani con il docente del Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche dell’università di Bologna Sergio Roi, Venturati ha spiegato come il calcio possa imparare dalla natura, dagli animali, dalle popolazioni che vivono nelle condizioni più estreme, dai corpi speciali militari o investigativi, dagli altri sport.


Ha spiegato come l’organismo dell’atleta oggi sia diverso da come sarà domani e che quindi la preparazione va sempre adeguata e deve sempre evolversi. Introdotto dal consigliere comunale con delega allo Sport Walter Della Frera, che ha ricordato come lo consigliò al Pergo nel 1996 per l’avvio di una carriera luminosa, il preparatore bergamasco ha regalato alcune chicche parlando di preparazione invisibile. «Gli allenamenti vanno fatti al mattino. Nessuna squadra di serie A arriva a lavorare due ore al giorno, ma oltre al campo occorre lavorare sulle 22 ore che restano in una giornata. Anche lì c’è bisogno di migliorare. Il miglior coach è la natura. Tra un decennio, i calciatori giocheranno fino a 45 anni. La media di infortuni in allenamento è di 6,6 ogni 1.000 ore. Un medico sportivo deve aver fatto il calciatore».


E sui tecnici ha aggiunto: «Servono gli allenatori degli allenatori, che devono imparare anche la coerenza comunicativa aziendale. Pronunciare frasi come la squadra è stanca, oppure mi mancavano i tre elementi migliori sono clamorosi autogol. In Italia, un allenatore di serie A dura in media in panchina 243 giorni, in Perù 76. La differenza tra le categorie la fa la velocità; in serie A il 75% del lavoro si svolge con la palla; nelle categorie minori non lo puoi fare. Gli allenatori spesso non riescono a contestualizzare e a capire in quale realtà si trovano. Bisogna alzare il livello culturale. Arrigo Sacchi era molto più avanti di tutti gli altri. Il giocatore più forte fisicamente che ho allenato? Igli Vannucchi, ma anche Gianluca Falsini».

La serata, alla quale ha partecipato anche il sindaco Fabio Bergamaschi, era intitolata ‘Dal Pergo alla Nazionale, dal Voltini al Maracanà’ e rientrava nella rassegna Bar Sport, organizzata dal Comune. L’ospite e relatore ha raccontato diversi aneddoti della sua carriera, iniziata proprio a Crema, nella società gialloblù. All’inizio, Venturati avrebbe dovuto affiancare l’allenatore Antonio Pasinato, dimessosi però prima dell’inizio del campionato. Poi, in quella stagione, ha lavorato con Antonio Vettore e Maurizio Lucchetti e l’anno successivo con Lorenzo Ciulli e con il direttore generale Luciano Zanchini. È stato proprio quest’ultimo a lanciarlo nel calcio professionistico e a inserirlo poi nello staff di Cesare Prandelli, con il quale il preparatore atletico di Casirate ha lavorato al Verona, al Venezia ma soprattutto nella Nazionale maggiore.


Nella carriera di Venturati ci sono anche esperienze con Parma, Roma, Fiorentina, Bari, Chievo, Palermo, Spal e con i turchi del Galatasaray. «Quando Ciulli è stato esonerato — racconta Venturati — Zanchini si è dimesso e io ho fatto altrettanto, nonostante lui non volesse. La mia coerenza è stata da lui premiata quando mi ha presentato a Prandelli. Nella mia carriera mi sono dimesso quattro volte, rinunciando anche a contratti molto importanti». L’ex preparatore azzurro, che oggi vive a Verona, ha illustrato nel corso della serata temi fondamentali per tutti gli allenatori e preparatori atletici, non solo del calcio. Ha posto l’accento su una nuova concezione dell’allenamento e dell’alimentazione.

Poi ha regalato diversi aneddoti sui Mondiali in Brasile, sull’eliminazione bruciante, sull’emozione che si prova a calpestare il prato del Maracanà, ma non solo, e sul fatto che «quando perdi con la Nazionale devi aspettarti le critiche più feroci». Ricordando anche, però, che «quella di Prandelli è stata l’ultima Nazionale a qualificarsi per un campionato del mondo». Al termine della serata, il ringraziamento lo ha fatto lui, Giambi Venturati da Casirate d’Adda, come ha più volte ricordato: «Alle tre persone che hanno segnato la mia vita e che mi hanno permesso di mettere piede al Maracanà: il professor Sergio Roi, Luciano Zanchini e Cesare Prandelli».

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