L'ANALISI
07 Febbraio 2024 - 18:33
Edgar Çani
CREMA - Il pallone traccia traiettorie che a volte escono dai confini del rettangolo di gioco e definiscono storie speciali. Prima ancora di gol e di esultanze, narrano pagine intrise di coraggio, di integrazione e di sogni che si trasformano in realtà. È il caso di Edgar Çani, attaccante del Crema, e del racconto della sua vita. E di un bambino di neppure un anno arrivato con la famiglia in Italia dall’Albania. Un viaggio in cerca di libertà, nel periodo del grande esodo all’inizio degli anni Novanta. Tra le righe, c’è poi quel ragazzino cresciuto in Umbria, con lo sport nel sangue e il desiderio di seguire la strada del pallone. E prosegue con il calciatore diventato professionista, dall’esordio a soli diciotto anni in serie A, sino a vestire la maglia della nazionale albanese. Çani ha inoltre giocato in tutte le categorie professionistiche italiane e ha avuto esperienze anche in campionati esteri, sino l’ultima nuova sfida di questi giorni con il Crema.
Carica di significati, sportivi e sociali, la storia dell’attaccante è diventata anche un cortometraggio, girato la scorsa estate e mostrato al pubblico proprio poco prima che iniziasse la sua esperienza in via Bottesini con i colori nerobianchi. Il docufilm ‘Edgar Çani da rifugiato politico a calciatore professionista’, prodotto da 100x100 Eventi con regia di Tess Lapedota, è stato presentato a Bari, la città che lo ha accolto, dopo lo sbarco a Brindisi, e in cui il destino ha voluto tornasse da calciatore 24 anni dopo, lasciando un segno profondo nella breve, ma intensa esperienza durante quella stagione di B molto particolare per i biancorossi.
Lei è arrivato in Italia quando ancora non aveva un anno con i suoi genitori che lasciarono l’Albania nel 1990: ci racconta?
«Con la caduta del governo comunista, c’è stata l’apertura delle ambasciate e con i miei genitori vi siamo entrati e dopo un mese siamo riusciti a venire in Italia come rifugiati politici. Siamo sbarcati in Puglia a Brindisi, per un periodo breve siamo rimasti a Bari e poi ci siamo stanziati vicino a Perugia».
In Umbria è cresciuto con il sogno di diventare un calciatore professionista, che è riuscito a coronare. Com’è andata?
«Sin da piccolo mi è sempre piaciuto lo sport: i miei genitori mi hanno dato possibilità di praticarlo, sia con la scuola, sia con le strutture presenti nel paese. Ho iniziato a fare calcio a cinque anni ed era la disciplina che più sentivo mia. Ho giocato sino ai quattordici anni nelle realtà del mio territorio, poi ho avuto la possibilità di fare un’esperienza al Pescara, che è stata trampolino di lancio per tutta la mia carriera».
La sua storia è diventata un cortometraggio, esempio di speranza, di coraggio e di inclusività: che effetto le ha fatto questa particolare esperienza?
«Quando mi ha chiamato Marco Iusco, giornalista di Bari e responsabile di un’agenzia di eventi, ero incredulo, perché non sapevo se realmente potesse piacere al pubblico la mia storia. Però sentendo la sua voglia e il suo progetto ne sono rimasto entusiasta e l’abbiamo realizzato».
Avverte particolare responsabilità nel dovere trasmettere ai più giovani valori, sportivi e sociali, derivati proprio dalla sua esperienza?
«Fa parte di me cercare sempre di aiutare il prossimo: una indole che giunge dal mio percorso di crescita e pure come specchio per ricambiare quanto mi è stato dato quando sono arrivato in Italia».
Lei ha collezionato diverse presenze con la sua nazionale: quali sono state le emozioni quando ha indossato la maglia?
«È stata molto particolare, perché è vero che sono cresciuto in Italia, ma ho sempre sentito anche il mio sangue albanese e quando c’è stata la chiamata in nazionale ho avvertito un forte coinvolgimento e tanto calore. Peraltro, il mio esordio è stato felice, con una rete segnata dopo solo tre minuti. È stata un’opportunità splendida e sono orgoglioso».
Ha giocato in campionati professionistici in Italia e all’estero: c’è stata una tappa chiave nel suo percorso?
«Sono molto legato all’Italia, però una delle esperienze più formative è stata in Polonia, in cui mi sono trovato da solo, con una lingua che non conoscevo, ed è stato molto difficile all’inizio: sono fiero perché sono riuscito a emergere in un campionato impegnativo e diverso dal nostro. Sono felice di quella stagione, di aver conosciuto un nuovo paese, la sua cultura, e di com’è andata calcisticamente parlando».
C’è un giocatore con cui sente un legame particolare?
«Ho giocato in molte squadre e ho conosciuto tanti giocatori. Le amicizie ristrette sono poche e ne cito quattro, Gabriele Cioffi, attuale tecnico dell’Udinese, Giuseppe Bellusci, che gioca ad Ascoli, Antonio Montella e Dario Polverini».
Come allenatore ha avuto un rapporto speciale con Rino Gattuso durante la sua esperienza al Pisa: ce lo descrive?
«Lui è speciale nel mondo del calcio: pur avendo vinto tutto è una delle persone più umili che abbia conosciuto. Mi ha fatto vedere il ruolo dell’allenatore in tutt’altro modo rispetto a prima. Mi ci vedo molto anche nei suoi valori ed è rimasto un buon rapporto tra noi».
Lei ha affrontato varie sfide in carriera, anche complicate: portando l’esperienza ora in nerobianco, quale dev’essere il perno per provare a risalire la classifica?
«Le sfide mi sono sempre piaciute ed è un fattore che mi ha stimolato in varie scelte del mio percorso. Questa con il Crema è un’altra. Sin dall’inizio ho colto valori importanti, una cultura del lavoro speciale e dobbiamo continuare a crederci».
A proposito di prove, ne ha una anche personale, ovvero si è rimesso in gioco dopo un grave infortunio.
«Sì esatto, è con me stesso e contro l’infortunio importante che ho avuto: voglio vincere anche questa sfida».
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