L'ANALISI
15 Novembre 2023 - 20:19
Paul Eboua
CREMONA - In campo è un un omone di 202 centimetri e 100 chilogrammi, fuori un ragazzo timido che dimostra tutti i suoi 23 anni. Distorsione dello sport che fa apparire gli atleti sempre molto più adulti di quanto non siano. Paul Eboua ha gli occhi teneri, parla con un filo di voce e specifica: «Sono una persona riservata, non parlo molto ma mi piace stare con la gente». Il lungo della Vanoli probabilmente non riesce del tutto a capire quali siano le sue potenzialità. O forse sì...
A che punto le sembra di essere arrivato?
«Direi al 60%. So che devo imparare tanto, migliorare sotto molti punti di vista. Posso ancora crescere. Sono molto critico con me stesso».
In cosa si sente di dover fare più strada?
«Nella consapevolezza delle cose che faccio. Devo capire meglio, e soprattutto prima, certe situazioni. Mi manca continuità sul tiro. Insomma devo ancora lavorare tanto».
Domenica arriva Pesaro. La sua prima vera tappa da professionista.
«Arrivavo dalla serie A2 e la Vuelle era il posto giusto per me. Sono cresciuto tanto, ho avuto tempo di capire la categoria. Anche la società è stata super. Mi hanno convinto durante un camp con la Stella Azzurra Roma e poi tutto è venuto di conseguenza e devo dire con la massima serietà».
Era il 2019. È rimasto ancora qualcuno di quel gruppo?
«Totè, ma ci sentiamo poco».
L’Italia è il paese dei campanili e del cibo. Chi vince tra Pesaro e Cremona?
«Non posso fare delle gare perchè si mangia bene in ogni paesino. A Pesaro mi piacevano gli arrosticini tipici, a Cremona la pasta è super».
Il suo piatto preferito?
«Si chiama ndolè ed è una portata africana. Si prepara con verdure, arachidi, carne o pesce, crostacei. Si mangia con il platano. La preparazione è molto complessa».
Se lo prepara da solo?
«Ma no, ci pensa mia mamma quando torno in Camerun. Quello è un piatto tipicamente africano. L’ho mangiato solo due volte da quando sono in Italia a casa di amici africani appunto».
Il giocatore più forte con cui ha giocato?
«Dovrei pensarci, ma di getto il nome che mi viene in mente è quello di Amedeo Della Valle».
E quello più difficile da marcare?
«Austin Daye».
Se non avesse giocato a basket cosa avrebbe fatto?
«Non lo so, non ci ho mai pensato. Da quando ero piccolo in Camerun ho iniziato a giocare. Mio papà mi faceva sempre la stessa domanda. Il basket per me è stato il piano A e quello B. Con gli anni è diventato anche il C...».
Dopo il basket?
«Adesso sono concentrato sulla mia professione. Più avanti metterò il focus su cosa fare al termine della carriera».
La città in cui si è trovato meglio?
«Non c’è un posto particolare. A Pesaro era bello svegliarsi e fare una passeggiata sul mare. A Cremona mi rilasso in centro, mentre a Brescia ho ancora tanti amici e ogni tanto torno a trovarli».
La città in cui vorrebbe vivere?
«Me ne piacciono tante, ma la mia vita è sempre stata basata sugli spostamenti. Non vorrei restare fermo, ma continuare a spostarmi e conoscere realtà. In ogni città ci sono i lati positivi e quelli negativi. Bisogna saperli vivere nel modo giusto».
Le sue vacanze ideali?
«In Africa a casa mia a Douala che è la capitale economica del paese. Si sta bene, c’è un clima caldo tutto l’anno ma non caldissimo. Vicino al mare nella parte Ovest del Camerun e attraversata dal grande fiume Wouri».
Episodi di razzismo?
«In campo mai, fuori qualche volta ho notato qualche volta dei modi di fare strani ma credo inconsapevoli...».
Il giocatore più forte al mondo?
«Giannis Antetokounmpo, senza dubbio».
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