L'ANALISI
12 Dicembre 2014 - 11:07
Jadid lascia il campo per infortunio
CREMONA - Il Giuseppe Sinigaglia, stadio di littoria bruttezza, non è il posto dove ti aspetti che succedano cose clamorose. E non c’è bisogno di scomodare il proverbiale Cibali, ce ne sono tanti di stadi più evocativi, dove ti verrebbe più naturale ambientare un qualche fenomeno calcistico paranormale. Però se ai miei tempi Memo Remigi assicurava che ci si può innamorare anche a Milano, qualcosa di fuori dal normale può capitare anche qui, in questo stadio dove quando piove piove democraticamente, nel senso che l’acqua in testa se la beccano anche i signori in tribuna coperta cronisti compresi, e i calciatori sono gentilmente pregati di non fare troppi rinvii a campanile, che si rischia di centrare un idrovolante in planata sul lago. Eppure in questo posto dove di solito la pellicola della malinconia lacustre ti si incolla addosso entro il dodicesimo del primo tempo è successa una cosa che al contrario ha riempito di allegria la centuria di tifosi che si erano liberati il mercoledì pomeriggio per questo recupero: dopo novantatrè minuti il risultato era Como zero Cremonese tre, fantascienza allo stato brado, poi proprio per non farci pensare sul serio di essere finiti in una dimensione parallela la Cremo ha beccato un gol dei suoi, una palletta innocente come un chierichetto che finisce nella nostra porta. Ma questo richiamo alla realtà toglie appena un po’ di lustrini a un pomeriggio che è una pagina di realismo magico firmata Marco (Giampaolo) invece che Marquez.
Como uno Cremonese tre suona un filo meno fiabesco, ma ci possiamo accontentare anche se suppongo che quando ritiri dal concessionario l’auto dei tuoi sogni (a patto che al contrario di me tu abbia mai sognato un’auto) non ci vuoi trovare nemmeno un granello di polvere.
Che poi, a occhi più disincantati, probabilmente la partita di ieri non sarebbe sembrata niente di originale, anzi qualcosa di già visto, una seconda visione da cinema di periferia: una squadra di alta classifica, ma nell’occasione con le gomme un po’ sgonfie, che per vincere si sporge un po’ e viene infilata da ospiti allupati dalle praterie del contropiede (non scrivo ‘verdi praterie’ perchè di verde nel campo del Sinigaglia ne rimane solo il ricordo).
Però a metterla così manca tutto il contesto: manca una squadra pedinata dai suoi precedenti come una spia russa che cerca il bagno alla Casa Bianca, inseguita dai suoi pensieri negativi come da una folla di creditori, assillata dalla sua cattiva coscienza come da una suocera da barzelletta. E attesa alla prova con una curiosità venata di scetticismo dopo la prova pallida di Lumezzane. E invece si è capito subito che c’era profumo di baruffa su quel ramo del lago di Como che volge a metà pomeriggio, che stavolta la conta tre galline sul comò aveva deciso che toccava proprio a lei decidere che penitenza far fare agli altri. E non ci è andata leggera. Già nel primo tempo il Como aveva rischiato di fare karaKiri. Le Noci le ha provate tutte ma sembrava Buster Keaton che gira invano la manovella della sua Ford che non ne vuole sapere di mettersi in moto.
E invece la Cremo era così in giornata che, quando Jadid si è chiamato fuori per un dolore a un ginocchio, Palermo è entrato nel suo ruolo con un’efficacia che tocca dire che se non tenesse alla Roma sarebbe perfetto. Rapido, preciso, tagliente, il pacemaker giusto per dettare ritmi sincopati a una Cremonese che nel secondo tempo ha usato l’aggressività avversaria (è una ricetta sicura per finire nei guai, quando il dovere di vincere ti spinge oltre il tuo limite di giornata) come elastico per i decisivi colpi di fionda. Per andare a prendersi la vittoria, la Cremo non ha più nemmeno avuto bisogno di spingere con gli uomini di fascia. Ma non si pensi che i grigiorossi si siano ritrovati la vittoria in mano, ‘andare a prendersi la vittoria’ è l’esatta espressione di quanto si è visto. La squadra ha capito di poter vincere e ha colpito. La complicità della difesa del Como è stata vistosa sul primo (colpo di testa fuori ordinanza di Alemarchi, dimenticato da tutti su angolo), imbarazzante sul secondo (Di Francesco rapace sul passaggio randagio verso il portiere), evidente sul terzo (ma il contropiede di branco che, da angolo avversario, ha portato Kirilov davanti al portiere è stato orchestrato con ferocia collettiva pari alla geometrica esattezza). Ma la partita è stata tutta un inno alle virtù grigiorosse, e sul tre a zero perfino il diffidente cronista si è rilassato. Il suo cattivo esempio è stato seguito dalla difesa, che così gli ha evitato il disturbo di dover spulciare gli annali alla ricerca del precedente tre a zero in trasferta. Per fortuna mancava così poco alla fine che nemmeno i fantasmi hanno avuto il tempo per farsi un voletto dimostrativo sul cielo sopra il Sinigaglia.
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