L'ANALISI
03 Febbraio 2017 - 18:45
Quante volte ormai sentiamo di ragazzini che uccidono la madri che volevano allontanarli dai videogiochi? O di atti vandalici commessi per poterne simulare uno? Negli Stati Uniti, dove spesso si verificano queste situazioni, l'argomento è caldissimo poiché è da poco che un ragazzino tredicenne ha ucciso la madre che gli aveva sequestrato un videogioco con cui stava giocando da quasi due giorni. Ad intervenire per primi sull'argomento sono gli esperti dell'università del Missouri che dicono: “i videogiochi violenti desensibilizzano il cervello alle immagini crude e inducono comportamenti aggressivi. Soprattutto nel periodo della preadolescenza, l’esposizione ripetuta alla violenza presente in questi strumenti esercita un’influenza significativa, perché va a rinforzare ed incrementare quei sentimenti, quelle cognizioni e quei livelli di attivazione correlati all’aggressività che il giovane già vive di per sé e cercherà di sfogare la rabbia e l'aggressività così come la vede nei videogiochi.”
Ma è davvero così?
Seguendo questa considerazione degli esperti, qualunque ragazzo che gioca ad un videogioco di guerra dovrebbe uscire in strada imbracciando un fucile e compiendo una strage. La verità è che un ragazzino che uccide la madre non lo fa perché “influenzato” dalla violenza nei videogiochi, ma forse semplicemente perché non è emotivamente equilibrato. In questo senso allora la responsabilità non è da attribuirsi esclusivamente al videogioco, ma magari anche ai genitori che, acquistando un videogioco violento, non hanno tenuto conto della fragilità del figlio. I videogiochi, a mio avviso, di per sé, hanno un solo scopo: divertire. E poiché il 99% dei videogiocatori non si sono resi protagonisti di fatti simili, è evidente che avvenimenti come quello sopra citato accadono eminentemente a causa del comportamento deviante di chi commette il fatto e, presumibilmente, a causa della poca attenzione prestata dai genitori.
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