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Verona, Trento, Bolzano, Brennero, Innsbruck, Salisburgo, Linz, Vienna, Breclav, Prerov, Ostrava, Oswiecim e infine Cracovia. Quasi un intero giorno di viaggio per arrivare in Polonia, ma vale assolutamente la pena di farlo.
Parte dalla Francia il Treno per la Memoria organizzato dai Sindacati CGIL, CISL e UIL, con andata giovedì 10 e ritorno lunedì 14 marzo 2016.
Cabine strette, sei cuccette su tre piani per ogni cabina, assenza di riscaldamento che ci dà un freddoloso “benvenuti in Polonia”; ragazzi sereni, alcuni tranquilli, altri esuberanti, pochi rumorosi. Divertimento, vivacità, eccitazione avvolgono tutti gli scompartimenti di un treno che molti immaginavano come quello di Harry Potter: magico. Si rivela invece essere un treno maledettamente reale, una bellissima copia di uno dei tanti treni che dal Binario 21 della Stazione Centrale di Milano sono partiti durante la Seconda guerra mondiale. Forse è per questo motivo che tutti sono di buon umore, disponibili, sorridenti: siamo tutti fortunati. Grigia, cupa, silenziosa, particolare è Cracovia, città che si sta ancora rialzando dalla fine della guerra. Edifici monotoni, automobili che per noi sono, per la maggior parte, “antiche”, chiese di stili commisti; al centro della città una piazza maestosa, dove l’ambra è regina: collane, braccialetti, orecchini, anelli ricoprono un viale di bancarelle.
Il punto cruciale per il significato del viaggio è stato sabato 12 marzo. Un silenzio che non si trova da nessun’altra parte, un silenzio doloroso che avvolge e coinvolge tutti, anche quei ragazzi tanto rumorosi che avevamo incontrati sul treno. Rispetto, indignazione, tristezza, crudeltà, paura, morte: emozioni che si confondono dentro ognuno di noi e che nessuno è in grado di esprimere perché non ci sono parole adeguate e ogni frase detta sembrerebbe inutile. I campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, con le montagne di capelli, occhiali, valigie, tazze, scarpe, fotografie, hanno questo effetto. Attraversare una camera a gas, vedere le prigioni, le baracche, le latrine, i lavatoi, i binari che conducevano fin dentro il campo di Birkenau, la sprezzante, ironica, terribile scritta “Il lavoro rende liberi” che apre il campo di Auschwitz: avevamo letto diversi libri sulla Shoah, ma vedere tutto questo sul posto suscita emozioni e riflessioni totalmente diverse.
Primo Levi dice: “Considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no. Meditate che questo è stato.” Ecco, questo appunto: per non rimanere indifferenti, per non dimenticare.
Camilla Parrino, 3 A linguistico Manin
30 Marzo 2016
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