L'ANALISI
OMICIDIO SUICIDIO IN PORTOGALLO. L'ANALISI
29 Novembre 2020 - 14:12
CINGIA DE' BOTTI (29 novembre 2020) - «Mai accettare un ultimo appuntamento. Quelli sono i momenti più pericolosi che sempre più spesso hanno un esito tragico». Maria Rosaria Palmigiano, psicologa psicoterapeuta consulente per il ministero della Giustizia nel carcere di Piacenza, mette in guardia le donne dalle richieste «ultimative» dei loro partner. Una dinamica che sembra adattarsi perfettamente a quanto accaduto a Nadiya Ferrão, la 55enne di origine ucraina uccisa da Roberto Arcari.
«Al di là di quanto stabilirà l’autopsia — continua la specialista — sembra di capire che il 64enne non abbia accettato la fine della relazione. Ne aveva perso il controllo e non riusciva a gestire l’abbandono. Il fatto che abbia rimuginato per sei mesi sulla situazione lo ha fatto entrare in un vortice cognitivo che ha fatto maturare dentro di sé l’idea prevalente di voler tornare con lei a tutti i costi. Dalle cronache sembra emergere un quadro di matrice narcisistica, la cosiddetta ‘ferita narcisistica’ che diventa insopportabile. Da qui la richiesta di un incontro chiarificatore che è una delle dinamiche classiche dei femminicidi. Non bisogna cadere in questa trappola perché di fronte c’è una persona che ha già premeditato l’omicidio e il più delle volte anche il suo suicidio».
Parole forti che vanno chiarite meglio. «È arrivato armato all’appuntamento per cui l’omicidio era già messo in preventivo. Non ritengo si tratti di un delitto d’impeto. Tutto fa pensare che il 64enne avesse già un piano preciso nella sua mente e che l’abbia così attuato».
Dall’altro lato c’è il successivo suicidio. «Il movente è la gelosia. L’amore non c’entra niente, la causa scatenante è il possesso e la perdita del controllo. Una volta che non si può ulteriormente gestire una relazione scatta questa reazione violenta. Arcari aveva aspettative evidentemente diverse su di lei e il rifiuto — sottolinea la Palmigiano che nella sua attività professionale si occupa dello studio criminologico delle relazioni pericolose e della prevenzione dei femminicidi attraverso convegni pubblici, attività di docenza e seminari sul territorio nazionale — ha fatto acuire quel senso di abbandono. La non accettazione dell’interruzione emotiva lo ha fatto andare in tilt. Ha rimuginato sei mesi, si è presentato con un’arma e ha agito come un’esecuzione. Il colpo alla testa assomiglia molto a questo. Una volta realizzato quanto commesso è sopraggiunto un crollo cognitivo e psicologico devastante. Essendo lui sempre stato ritenuto persona mite e tranquilla che lavorava al servizio degli altri gli aveva fornito un’identità e un’immagine che si è sgretolata in un attimo. Non ci è stato più dentro, ha preso la stessa arma e si è sparato».
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