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DELITTO GOBBI

Infante, condanna all'ergastolo

Sentenza pesantissima pronunciata a Mantova per concorso in omicidio. L'artigiano 51enne di Viadana farà ricorso in appello

Daniele Duchi

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redazione@laprovinciacr.it

26 Marzo 2016 - 13:01

Infante, condanna all'ergastolo

Roberto Infante, Giorgio Gobbi e i rilievi sull'auto in cui venne rinvenuto il corpo

VIADANA/CASTELDIDONE — Delitto di Giorgio Gobbi: ergastolo per Roberto Infante. Sentenza pesantissima, quella emessa venerdì 25 marzo in tribunale a Mantova per il 51enne artigiano edile di Viadana. Il presidente della corte d’appello Gianfranco Villani l’ha letta attorno alle 18.30 al termine di una giornata giudiziaria lunghissima. La corte ha accolto praticamente in pieno la richiesta del pubblico ministero Silvia Bertuzzi, che oltre al carcere a vita aveva chiesto anche l’isolamento diurno per due mesi. E’ stato inoltre sancito un primo risarcimento come provvisionale (dunque immediatamente esecutiva) di 50mila euro per le parti civili: la madre di Gobbi Eurosia Branchi e la compagna Alina Motogna. I difensori di Infante hanno annunciato ricorso in appello. Prima di essere ricondotto in carcere l’uomo e i famigliari si sono abbracciati tra le lacrime. Il viadanese riconosciuto colpevole di concorso in omicidio e occultamento di cadavere, avendo scelto il processo con rito ordinario, subirà comunque una condanna maggiore rispetto all’esecutore materiale del delitto avvenuto il 4 dicembre 2014 alla Luma di Viadana: il reo confesso Luciano Bonazzoli. Per lui, che ha invece optato per il rito abbreviato (scelta che concede uno sconto di pena) la richiesta del pubblico ministero è stata di 20 anni di reclusione. Per il terzo complice, Edo Dolci di Marmirolo, che ebbe il ruolo di disfarsi della doppietta facendola a pezzi e gettandola nelle acque del Diversivo a Soave di Porto Mantovano, invece la richiesta è stata di 4 anni e 4 mesi. La loro sentenza verrà emessa venerdì 22 aprile. Fu un agguato in azienda con l’esca della restituzione di gioielli e orologi, valore stimato sui 150mila euro, che il cognato gli aveva affidato e che lui, in realtà, s’era venduto per coltivare la passione compulsiva per il gioco. Un delitto maturato nel timore di una vendetta del cognato (coinvolto in un’inchiesta dell’Antimafia) e preparato con cura. Messo in atto con un fucile dalla matricola abrasa, con l’accortezza di disattivare le telecamere di videosorveglianza perché non lo riprendessero mentre uccideva il fratello della moglie con due fucilate a bruciapelo. Il cadavere venne trasportato nell’auto della vittima nel parcheggio del centro Torri a Parma e trovato il giorno successivo.

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