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CASALMAGGIORE

Vista Red, il Comune perde... ma vince

Sentenza sfavorevole della Corte di Cassazione per un vizio di forma, ma i giudici entrano lo stesso nel merito sui tempi del semaforo

Daniele Duchi

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redazione@laprovinciacr.it

22 Agosto 2015 - 10:02

Vista Red, il Comune perde... ma vince

L'incrocio di Casalmaggiore con il Vista Red

CASALMAGGIORE — La Corte di Cassazione promuove l’intervallo di 4 secondi tra il verde e il rosso al semaforo con impianto Vista Red — in grado di accertare e multare, attraverso ‘occhi elettronici’, il passaggio dei veicoli con il rosso — posto all’incrocio tra l’Asolana (via Beduschi) e Strada San Leonardo-via XX Settembre, in fregio al Penny Market. La durata della luce gialla al semaforo di Casalmaggiore, insomma, è perfettamente legale. Ma la cosa curiosa, diremmo quasi ai limiti dell’assurdo, è che tutto ciò viene stabilito dall’Alta Corte in una sentenza — la numero 14914 del 16 luglio scorso — che però dichiara inammissibile il ricorso presentato dal Comune di Casalmaggiore contro la decisione assunta il 28 febbraio 2013 dal Tribunale di Cremona che annullava la sanzione elevata nel 2007 (140 euro e sei punti in meno sulla patente) alla casalese Isabella Pontremoli. Il giudice monocratico cremonese Giulio Borella, cui la Pontremoli aveva presentato appello dopo che per due volte il giudice di pace di Casalmaggiore le aveva dato torto, aveva stabilito che la durata della luce gialla dovesse essere di almeno 6 secondi mentre quella dell’apparecchio di Casalmaggiore è fissata a 4: questo sulla base di numerose sentenze di giudici di pace fondate su perizie tecniche d’ufficio. L’amministrazione comunale allora in carica, guidata dal sindaco Claudio Silla, confortata dal parere del comandante della polizia locale Silvio Biffi, contando sul chiaro orientamento che si evinceva da diversi pronunciamenti della Suprema Corte («il tempo di accensione della luce gialla non può essere inferiore a tre secondi»), decise di opporsi e di ricorrere al terzo grado di giudizio. Non tanto per un ‘accanimento’ contro la cittadina — tra l’altro già in servizio in passato presso la polizia municipale casalese e tuttora agente nel corpo dell’Unione delle Terre Verdiane, in provincia di Parma — quanto perché un’ennesima sentenza della Cassazione avrebbe ‘stoppato’ la prevedibile marea di ricorsi da parte di altri automobilisti contro il Vista Red. Lo scopo — da questo punto di vista — è stato raggiunto, nonostante quella che a un esame superficiale appare come una sconfitta giudiziaria. Cosa è successo? Secondo le informazioni raccolte in municipio e al comando della polizia locale, l’avvocato Francesco Miraglia (del Foro di Roma), cui si era affidato il Comune, è incappato in un errore formale che non è sfuggito alla sesta sezione della Corte: il ricorso depositato dal legale faceva infatti riferimento al vecchio testo dell’articolo 360 (comma primo, quinto paragrafo) del codice di procedura civile, quello che stabilisce i motivi per cui si può presentare appello, testo che però prima che l’atto fosse protocollato era stato modificato. Un vizio di forma costato l’inammissibilità del ricorso e la condanna al pagamento delle spese (700 euro): uno ‘smacco’ che al Comune non costerà comunque nulla in quanto — essendo dovuto a un errore professionale del legale — spetterà a lui, o alla sua assicurazione, farsene carico. Questa la versione del Comune. Di tutt’altro parere l’’avversaria’ del Comune, Isabella Pontremoli: «La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto non doveva neppure essere proposto in quanto non sussisteva la mancata motivazione da parte del magistrato cremonese che, anzi, l’aveva rettamente motivata in base al nuovo artico 360 cpc, e ha di fatto confermato la sentenza del Tribunale di Cremona». Tesi ovviamente confutata dall’altro lato della barricata. In effetti, nel dispositivo della sentenza, la sesta sezione della Corte romana, in modo del tutto irrituale, non si limita come sarebbe normale a pronunciare in poche righe l’inammissibilità del ricorso, ma — in una premessa di ben due pagine — ribadisce il proprio orientamento «costante» nel merito della questione, stabilito peraltro da diversi pronunciamenti precedenti: e cioè, riassumendo, che l’intervallo di quattro secondi «deve senz’altro ritenersi congruo» e che «il conducente che impegna un incrocio disciplinato da un semaforo non è esonerato dalla diligenza nella condotta di guida», che deve tradursi in «cautela, prudenza e attenzione». «Questi criteri — aggiunge la corte — richiamati e applicati in caso di attraversamento di un incrocio con semaforo verde, valgono a fortiori nella ipotesi di luce gialla». Va detto che la donna aveva sostenuto che, al momento del passaggio con il giallo, poi diventato rosso, un autocarro le aveva impedito la perfetta visibilità dell’incrocio.

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Commenti all'articolo

  • isabella.pontremoli

    22 Agosto 2015 - 12:55

    Molte le imprecisioni. Il GDP non mi ha "dato torto 2 volte" ma che assurdità. La sentenza è 1. Inoltre la Sentenza della Suprema Corte non è "ai limiti dell'assurdo", portiamo rispetto, e l'Avv. del Comune non ha sbagliato. La riforma del 360 cpc doveva far desistere il Comune dal fare ricorso in quanto la sentenza di Cremona era perfettamente motivata. Il Comune ha voluto insistere senza averne titolo. Non sono poi convinta che questa operazione non costi nulla ai cittadini. E' dovere della stampa approfondire questo aspetto. Inoltre la sentenza del Tribunale di Cremona non è stata riformata o annullata e il Comune ha il dovere di attenersi a quanto stabilito per i tempi del giallo. I tempi del giallo, nel mio caso, non erano di 4 secondi, ma desumibili da un filmato senza nessuna certezza e pari a 3 secondi e 15 circa. Pertanto cerchiamo di essere precisi. Cordiali saluti. Isabella Pontremoli

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