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CREMONA

L'intervista a Rebaudenghi (Gnu Quartet): 'La musica è l'incrocio dei mari'

Fabio Guerreschi

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fpavesi@cremonaonline.it

22 Giugno 2015 - 16:24

L'intervista a Rebaudenghi (Gnu Quartet): 'La musica è l'incrocio dei mari'

CREMONA - Il festival ‘Acque Dotte’ ha preso il via con il concerto di Cecilia Chailly, la più nota arpista italiana, con lo Gnu Quartet, ensemble costituito da Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello che tornano a Cremona dopo aver partecipato, due anni fa, alla rassegna L’altro lato del violino. Musicisti di formazione classica nella loro carriera stanno attraversando percorsi di ricerca originali e sorprendenti. Lo spettacolo, intitolato Corde liquide, è stato appositamente ideato per Acque Dotte, la rassegna che coinvolge Cremona e Salò.

«E’ uno spettacolo — racconta Rebaudengo — nato dalla collaborazione con Cecilia. Abbiamo sempre seguito la sua carriera, come lei la nostra, e questa rassegna rappresentava l’occasione per incontrarci artisticamente e trovare la direzione giusta. Lo spettacolo è concepito come due mari di colori diversi che si incontrano e si mescolano per dare un colore nuovo e diverso, per diluirsi uno nell’altro, per diventare indistinguibili dalle due forze che l’anno generato. Mescoliamo due generi per crearne uno nuovo, lasciando spazio all’improvvisazione e all’ispirazione del momento».

State facendo molte date con Niccolò Fabi e il 29 luglio sarete a Fiorenzuola d’Arda al festival ‘Dal Mississippi al Po’. Questo è uno spettacolo molto diverso da quello di Cremona? «Si. Con Niccolò abbiamo un legame molto stretto, particolare, intenso anche perché abbiamo vissuto da vicino i momenti delicati della sua vita. Cecilia è più strumentista, quindi il nostro approccio allo spettacolo di Cremona deve considerare questo aspetto. Con Niccolò esce la nostra ispirazione rock e il nostro ruolo diventa quello di suonare per e insieme a Niccolò».

Situazioni diverse, come passare dal palco di Sanremo al concerto del Primo Maggio a un festival jazz. Che effetto le fa vivere momenti così diversi? «Alla fine l’importante è fare bene la musica che stai facendo e dare soddisfazione a chi ci sta ascoltando. La differenza sta nell’emozione che si prova: sono molto diverse e sono da gestire in modo molto diverso. Conta la capacità di comunicare in base al tasso di adrenalina che è ovviamente diverso. Ma credo che nessuno di noi quattro farebbe classifiche di preferenza sulle situazioni citate».

Gnu Quartet, 2 Cellos, Apocalyptica. Se nei decenni precedenti il rock sembrava attirato dalla classica, oggi sembra che i musicisti di formazione classica siano molto attirati dal rock. «Secondo me è sicuramente così. Noi siamo persone in una fascia d’età in cui il rock è entrato naturalmente nel bagaglio culturale di ogni musicista e non è più guardato con sospetto o pregiudizio come accadeva anni fa. Anzi, il rock ha scatenato tutto il suo fascino e l’approccio accademico porta con se una capacità di analisi dei due generi che si affianca alla spontaneità e all’istintività di chi fa rock».

E il progressive rock, da cui arrivate, è l’anello di congiunzione? «Penso proprio di si. In Karma, il nostro ultimo album, abbiamo avuto la dimostrazione che il nostro pezzo originale, inserito nell’album con alcune cover progressive, ha avuto ottimi riscontri di critica e questo ci ha convinti che questo brano, che si intitola Stereotaxis, possa essere l’ape regina che ci guiderà per la realizzazione del prossimo album».

In definitiva il suono dello Gnu Quartet nasce dall’entusiasmo per la musica senza preconcetti, dall’alchimia di gioia e ricerca, dal virtuosismo della musica colta e il coinvolgimento di quella moderna, in un percorso di innovazione che rende attualmente il quartetto una realtà musicale unica ed entusiasmante.

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