L'ANALISI
11 Maggio 2014 - 13:15
La comunità nazionale, ipersensibile alle esigenze di tutela ambientale, è sempre più ostile alla presenza di attività produttive pericolose che vengono respinte senza appello. Ogni forma di scambio o compensazione occupazionale è improponibile. Nel nostro Paese le aziende inquinanti hanno sempre meno spazio e lo trovano solo se garantiscono l’assenza di rischi per la salute pubblica e la salvaguardia dell’ecosistema. E’ un segno di civiltà che la classe politica e le istituzioni hanno in buona parte recepito e che pone l’Italia tra le nazioni più evolute. Della termovalorizzazione e dei sospetti sulla sua nocività s’è detto e scritto di tutto. Forze politiche, tecnici e cittadini si sono confrontati e scontrati sul tema dell’incenerimento come modalità di smaltimento dei rifiuti. L’impianto di Cremona si è trovato al centro di un dibattito culminato nel referendum del 21 giugno 1994 e ancora aperto. Vent’anni fa vinsero i ‘contras’, ma l’allora maggioranza formata da Dc, Pci e Verdi tirò dritto per la sua strada e realizzò il progetto. Quella decisione, giudicata arrogante o coraggiosa a seconda dei punti di vista, permise a Cremona di uscire dall’emergenza rifiuti. L’avvio del termovalorizzatore ha spezzato il legame di dipendenza dagli impianti di smaltimento di mezz’Italia ai quali veniva conferita l’immondizia di tutta la provincia. Si è conquistata un’autonomia gestionale che ha permesso anche di evitare il raddoppio della discarica di Malagnino. A vent’anni da quella fase tormentata, siamo di fronte a una svolta. Ora si tende a non bruciare più i rifiuti, ma a trasformarli e a recuperarli. Domani in Provincia, i rappresentanti di Regione, Comune, Asl e Arpa firmeranno il protocollo di valutazione tecnica della dismissione del forno di via San Rocco. Lo studio durerà un anno e servirà a considerare le alternative possibili alla termovalorizzazione. I tempi saranno lunghi, ma la via da percorrere sembra a senso unico e porta allo smantellamento dell’inceneritore di Cremona.
La Regione vuole dismettere il termovalorizzatore di Cremona a causa dei bassi risultati energetici e delle carenze ambientali. Non a caso l’Aem ne aveva progettato il rifacimento. La muncipalizzata chiede giustamente che anche gli altri inceneritori lombardi siano sottoposti alle medesime verifiche. Pur nel rispetto degli indirizzi espressi nella riunione del consiglio comunale dello scorso febbraio, che indica lo studio di modalità alternative all’incenerimento, bisogna evitare di aprire una nuova emergenza. Non c’è niente di peggio, su questioni così delicate come quelle attinenti l’ambiente, di procedere all’italiana, ovvero di passare dall’inerzia alla precipitosità. Siamo campioni nel perdere tempo che poi pretendiamo di recuperare senza curarci dei danni causati dalla fretta e dal pressapochismo. Da quasi un secolo l’Aem promuove lo sviluppo e la crescita della città. Lo fa anche andando in soccorso alle amministrazioni municipali, come fece nel 2007, quando si accollò l’acquisto delle reti. Le comprò per 40 milioni di euro che salvarono il Comune dalla bancarotta. Chiudere l’inceneritore significa sottrarre all’Aem una redditizia attività industriale che deve essere compensata dall’erogazione di fondi regionali che finanzino la dismissione dell’impianto, la costruzione dei centri del riuso previsti dal piano provinciale e di impianti di trattamento bio meccanico sul modello tedesco. Il protocollo che sarà firmato domani parte dal presupposto che quanto si farà in via San Rocco servirà da test per altre città dotate di inceneritore. Cremona e l’Aem possono fare da cavia, purché non si facciano salti nel buio. E se è vero che i rifiuti oggi sono una risorsa, non si passi dall’emergenza ambientale a quella economica.
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