Occorre un po’ di ottimismo per cominciare bene l’anno. Serve a esorcizzare le paure ereditate dai dodici mesi precedenti e ad assecondare la buona sorte. Con questo spirito vogliamo credere che lo spread sotto quota 200 sia il segnale d’avvio della ripresa economica. Vogliamo credere che le imprese riusciranno a ottenere dalle banche il credito necessario a sopravvivere e magari a investire e crescere e che torneranno ad assumere. Vogliamo credere che i giovani disoccupati troveranno lavoro e che il prodotto interno lordo aumenterà insieme coi consumi. Vogliamo anche credere che il Paese abbia iniziato il percorso virtuoso delineato da Enrico Letta a commento della notizia del ritorno del differenziale tra Bund e Btp ai livelli del luglio 2011. Vorremmo credere al premier, anziché ai profeti di sciagure, ma le condizioni generali sono tali da smorzare ogni ottimismo. Il Paese non è da riformare ma da rifondare. Pare che se ne stia rendendo conto anche Carlo Cottarelli, commissario straordinario alla spending review, impegnato nell’i mpresa titanica del taglio della spesa pubblica. Forse l’economista cremonese ha già cominciato a rimpiangere l’i ncarico lasciato al Fondo monetario internazionale per una missione apparentemente impossibile. Nessuno vuole risparmiare e le resistenze sono tali che si usa il bisturi dove non basterebbe la mannaia. Bisogna soprattutto che si radichi in Italia la mentalità diffusa nel mondo anglosassone dove le risorse pubbliche sono considerate un mezzo per produrre servizi utili alla collettività, non solo a qualcuno. E’ la ‘value for money’, la qualità della spesa pubblica evocata di recente dallo stesso Cottarelli.
Per capire quanto poco virtuosi siamo, basta guardare in casa nostra, prima che al meridione disastrato e bistrattato dalla retorica leghista. Mentre il sindaco di Crema Stefania Bonaldi fa uno sforzo per tagliare le spese, razionalizzare le partecipazioni pubbliche, accorpare le società e ridurre i consigli d’amministrazione, Cremona mantiene i rami, anche quelli secchi, di piante appassite. E i cittadini pagano per l’inerzia della politica, come avviene adesso in occasione del rincaro dei parcometri, deciso dal Comune a partire dal 7 gennaio per rimpinguare le esauste casse dell’Aem. I negozianti giustamente si ribellano di fronte a un nuovo provvedimento che contribuirà a dirottare i potenziali acquirenti sui centri commerciali. Questo atto è l’ultimo di una lunga serie ed è in linea con gli aumenti tariffari e l’ina spr im ento fiscale decisi da un governo che promette di diminuire le tasse ma fa il contrario. L’esecutivo non può ridurre significativamente le uscite perché la Pubblica amministrazione è governata da partiti più impegnati nell’autotutela e nella conservazione dei privilegi che nel servizio del Paese. La politica è la stessa, da Aosta a Palermo e identica la musica. Nella provincia autonoma di Bolzano, che ha 480mila abitanti, i 58mila dipendenti pubblici resterebbero senza stipendio se lo Stato smettesse di erogare 100 milioni di euro all’anno. Alla vicina provincia di Trento arrivano da Roma 80 milioni e i due terzi del gettito fiscale servono per pagare i 53mila addetti alla pubblica amministrazione. E il presidente Ugo Rossi percepisce uno stipendio superiore a quello di Obama. Dall’Italia dei privilegi, che è quella della politica ed è lunga quanto lo Stivale, ci possiamo aspettare solo provvedimenti gattopardeschi. Nella speranza, dura a morire, che qualcosa cambi davvero.