Hanno combattuto una battaglia profetica i comitati referendari che vent’anni fa cercarono inutilmente di impedire la costruzione dell’inceneritore di Cremona. Furono sconfitti, ma le alternative proposte allora sono i pilastri delle politiche ambientali applicate oggi dai Paesi più avanzati. Potevamoprecorrere i tempi se i politici avessero avuto l’umiltà di rivedere le proprie decisioni. Bastava ascoltare la gente e approfondire una tematica controversa. La risposta fu invece rapida, perentoria e arrogante. Nel 1993 gruppi spontanei e un eterogeneo schieramento di partiti che andava da Forza Italia a Rifondazione Comunista si mobilitarono per bloccare quel progetto. Per attenuare l’impatto negativo sull’immaginario collettivo, l’amministrazione comunale giocò anche con i termini: non si parlò più di inceneritore, ma di termovalorizzatore, nel vano tentativo di esaltarne gli aspetti positivi. La realizzazione del forno destinato a ricavare energia e calore dalla combustione dei rifiuti era il principale punto programmatico della giunta nata nel 1990 dall’intesa tra Pds e Ppi. Si ebbe la netta sensazione che i due partiti di maggioranza fossero disposti a cedere su tuttomanon su quel progetto che fu realizzato nonostante l’esisto contrario del referendum consultivo che si tenne in città il 18 giugno 1994. Dieci giorni dopo il consiglio comunale approvò una mozione che ignorava il parere della maggioranza dei 35.828 votanti. Quella prova di forza incrinò irrimediabilmente il rapporto tra la città, il sindaco Alfeo Garini e il suo vice Giuseppe Tadioli che al termine del mandato non furono ricandidati. Sedici anni dopo l’inaugurazione dell’impianto costruito in via San Rocco, un sito già allora considerato inidoneo, l’Unione Europea, il governo nazionale e quello regionale indicano nuove modalità di smaltimento dei rifiuti, più economiche e rispettose dell’ambiente. Ieri a Crema è emerso il contrasto tra la virtuosità del circondario cremasco, che ricicla fino al 70 per cento della sua immondizia, e il ritardo di Cremona dove la differenziata è ai livelli minimi provinciali con costi unitari di smaltimento superiori del 40 per cento. Oggetto di dibattito è stata la revisione del piano provinciale gestione rifiuti, da presentare entro marzo, che dovrà prevedere il riciclo e il riuso dei materiali anziché il loro incenerimento, come indicato dal documento approvato all’unanimità dalla consulta dei sindaci cremaschi e ribadito in tutti gli interventi al forum di Crema. La provincia di Cremona oggi si schiera compatta a favore della differenziata spinta. E’ risaputo da tempo che è anti economico, irrispettoso dell’ambiente e talvolta dannoso alla salute bruciare i rifiuti, anche se una città evoluta come Parma ha appena messo in funzione un inceneritore. Oggi Cremona può rimediare agli errori del passato: ha la facoltà di spegnere e smantellare il suo vecchio impianto. Anziché sprecare risorse per pagare i lavori di adeguamento della centrale è meglio provvedere al bene comune e finanziare le buone pratiche di recupero che l’Europa ci indica. I sindaci devono resistere alle lusinghe dei tecnici che suggeriscono costosi lavori di ammodernamento. Non esitino a rottamare macchinari vecchi, superati e potenzialmente pericolosi. I Comuni sono gli azionisti delle municipalizzate: non deleghino alle società di servizi decisioni politiche di loro esclusiva competenza. La quota minima di rifiuti che è ancora necessario bruciare può essere eliminata in altri combustori lombardi. Ristrutturare l’inceneritore sarebbe imperdonabile almeno quanto lo è stato costruirlo.