La Lombardia è la locomotiva d’Italia: traina l’economia nazionale, è modello per le altre regioni e punto di riferimento per lo Stato. Se si ferma, tutto il Paese si blocca, come ha detto giustamente Roberto Maroni all’incontro promosso venerdì scorso dalla Libera associazione agricoltori a Cremona. L’efficace metafora utilizzata dal governatore lombardo ha suggellato un intervento ispirato dall’orgoglio lombardo, che non necessariamente è leghista. Il richiamo al senso d’appartenenza comune a un territorio si è rivelato particolarmente efficace perché pronunciato in un contesto scevro da connotazioni politiche e partitiche e soprattutto non contaminato dalla consueta retorica nordista e da orpelli folcloristici come il Carroccio, il padre Po e i fazzoletti verdi. Le parole del governatore erano rivolte indistintamente ai 10 milioni di lombardi, al parlamento e al governo. E’ utile ricordare che per popolazione e Pil la nostra regione figurerebbe nel gruppo dei primi otto Paesi dei 28 che compongono l’Unione Europea. La lettura di questo dato in chiave secessionista potrebbe essere strumentalizzata dai pochi che ancora oggi accarezzano il sogno bossiano della Padania libera. Quella strada era impraticabile e lo è ancora di più oggi che le pulsioni indipendentiste sono sopite e forse esaurite. Ma proprio perché non sono fagocitate dalla politica, la voce e le ragioni dei lombardi rischiano di disperdersi nella cagnara generale. Non si discute più della questione settentrionale, peraltro mai inserita nell’agenda politica e solo sfiorata dal Presidente della Repubblica nei discorsi pronunciati in occasione del 150˚ anniversario dell’unità d’Italia e raccolti in un volume edito da Rizzoli. Perciò è opportuno, se non doveroso, che qualcuno ci ricordi chi siamo e che cosa rappresentiamo in Italia e in Europa. Rinfrescare la memoria collettiva serve anche a riaffermare un ruolo che nella crisi generale appare marginale.
La Lombardia, intesa come entità non amministrativa ma geopolitica ed economica, è regione leader nel Paese. Nell’interesse dei suoi cittadini e di tutti gli italiani deve essere messa nelle condizioni di esercitare la funzione di guida non solo economica, ma anche politica e morale che le compete. In quest’ottica, Maroni è tornato a proporre il mantenimento sul territorio delle tasse pagate dai cittadini: non il cento per cento che la Lega un tempo pretendeva, ma i tre quarti del gettito fiscale regionale. E’ una richiesta ragionevole e dettata dal buon senso che proprio per questo difficilmente verrà accolta. Il conflitto tra le regioni del Nord, più efficienti e produttive, e le zone depresse del Centro-Sud non nasce da rivalità storiche ma dall’incapacità dello Stato di ridurre il divario tra i territori, eliminando le sacche di arretratezza. Il popolo italiano, tra i più tartassati al mondo, e i lombardi, che maggiormente contribuiscono al gettito fiscale, non possono non essere ostili a un potere centrale esoso, che chiede molto e poco dà. In virtù di un malinteso senso della solidarietà nazionale, la Lombardia contribuisce più di ogni altra regione al bilancio statale ed è ripagata con l’inefficienza di una Pubblica amministrazione che in sè e con la sua azione costituisce uno dei maggiori freni allo sviluppo economico e sociale. Il potere centrale dovrebbe liberare tutte le potenzialità lombarde perché l’intero Paese ne tragga beneficio, come ha riconosciuto il Capo dello Stato in occasione della recente visita a Milano per la presentazione dell’Expo 2015. Il federalismo fiscale, inserito nell’apposita legge delega 42 del 2009, resta una chimera e il processo di valorizzazione del sistema delle autonomie locali è lungo e impervio. Comuni, Province (finché ci saranno), città metropolitane e Regioni dovrebbero vedersi riconosciuta una ben più ampia autonomia finanziaria di entrata e di spesa per potere parlare di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Alla locomotiva bisogna dare carburante perché corra sempre più veloce. La benzina sono i tributi pagati in loco e dispersi altrove per fini improduttivi. Vittoriano Zanolli