L'ANALISI
02 Maggio 2017 - 12:32
Le dispute ideologiche sono il sale della politica: guai se i partiti discutessero solo di affari, di problemi gestionali e i loro rappresentanti operassero come amministratori di condominio o come consiglieri d’amministrazione di un’azienda. Svilirebbero il loro compito. Negli anni Ottanta, nell’era del pensiero debole e del riflusso, c’era chi predicava e prevedeva la fine della politica, allora considerata un inutile fardello, coi suoi tempi e i suoi riti. Oggi ne paghiamo le conseguenze. Sono lì le radici dell’ondata populista che ha investito l’Europa. A proposito di ideologia, ad ogni 25 Aprile si ripetono argomenti triti e ritriti. Se l’alternativa a un dibattito stucchevole è che sulla Resistenza cali il velo dell’indifferenza e che quel periodo controverso finisca nell’oblio, è preferibile che si continui a discuterne, purché si discuta di storia e di fatti concreti, non dell’effimero com’è avvenuto all’interno del Pd in occasione della recente ricorrenza. Non sapendo su cos’altro accapigliarsi, orlandiani e renziani hanno pensato bene di costruire una polemica artefatta sui colori della Resistenza. Il rosso deve conservare il monopolio o c’è spazio anche per il bianco, il verde, il blu e il resto dell’arcobaleno? Alla celebrazione della Liberazione a Milano, alcuni militanti dem hanno sfilato con magliette, cappellini e bandiere blu, il colore dell’Europa. I sostenitori del ministro della Giustizia alle primarie che si celebrano oggi sono stati categorici sui social: la rivolta partigiana si tinge solo di vermiglio. Immediata la reazione dei renziani che hanno ricordato agli avversari le brigate cattoliche e monarchiche del variegato schieramento partigiano, che combatterono a fianco dei socialcomunisti.
I dem nostrani non potevano lasciarsi sfuggire l’occasione di dire la loro. Tra le varie voci spicca quella del consigliere Giovanni Gagliardi che riporta la questione sul binario storico e propone un compromesso: passare dal rosso divisivo al blu perché gli italiani si uniscano sotto una nuova bandiera, quella dell’Europa. Se per più di settant’anni si è rinfocolata la polemica sulla Resistenza con l’evidente scopo di mantenere divisi gli italiani, oggi è impossibile ritrovare l’unità sotto altri valori, men che meno quelli legati all’Europa, che sono tra i più controversi. L’idea merita attenzione, ma è irrealizzabile, almeno adesso e chissà per quanto tempo ancora. Né il rosso né il blu, ma il tricolore, quello della nostra bandiera, è il colore che unisce gli italiani e che collega idealmente il Risorgimento con la Liberazione. Potremo dire di avere fatto i conti con la nostra storia recente e col Ventennio quando ci uniremo sotto un unico vessillo, nel rispetto e nel riconoscimento delle differenti convinzioni politiche. Forse solo allora diventeranno patrimonio collettivo anche i valori fondanti dell’Unione Europea, la pace innanzi tutto, nata quindi con lo scopo di evitare che altre guerre devastassero il vecchio continente.
L’uso strumentale delle questioni ideologiche svuota di significato il dibattito politico. Lo impoverisce e lo immiserisce. Oggi si utilizza il 25 Aprile per colpire l’avversario di partito, domani per scopi analoghi si montano polemiche pretestuose su altri argomenti. E i partiti perdono di vista la realtà e i problemi concreti della gente. E perdono voti.
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